Qui la mattina non ci chiediamo “com’è andata la notte?”, “hai dormito”? Ci vediamo alle sei e le domande sono: “ci siamo tutti? Abbiamo morti? Sfollati?” Se ci salutiamo e qualcuno azzarda “a sabato”, c’è sempre chi risponde “sì, se siamo vivi...”». Angelo Rusconi è capoprogetto alla Gaza Clinic di Medici senza frontiere, a Gaza City, e conosce a fondo il concetto del navigare a vista.
Quella città alla fine del mondo, quelle macerie a perdita d’occhio gli fanno venire in mente un formicaio: «Ha presente quando i bambini distruggono un formicaio? Ecco. Qui cade una bomba, partono le sirene, le ambulanze, la gente si agita tutt’attorno come fanno le formiche con la loro casa perduta. Dopo un po’ però li ritrovi che puliscono, rimettono in piedi quel poco che si può...».
I militari avanzano, l’offensiva è massiccia e di aiuti umanitari non se ne vedono. «Oggi (ieri, ndr) cercavo di fare la spesa al mercato ma ho dovuto tagliare la metà. Sa quanto costa un chilo di riso? Cinquanta dollari, ho visto un vasetto di Nutella a 150 dollari, il gasolio è a 25 dollari al litro e il cibo essenziale come carne e verdura non si trova. Qui nessuno pensa a domani, il problema è cosa mettere nel piatto stasera. È arrivato il momento di interrompere i bombardamenti e riaprire i canali per il cibo e le medicine. Non c’è più tempo».
Sami ha 63 anni, padre di sei figli e nipoti a volontà. Era a Khan Younis ma poi è arrivato l’ordine di evacuazione, lunedì scorso, ed è fuggito più a nord. Dice che «da otto giorni dal cielo sopra Khan Younis piovono volantini scritti in arabo: “Lasciate quest’area, andate nella zona di al-Mawasi”. Ma siamo tutti sfiniti. Dopo il cessate il fuoco siamo tornati nelle nostre case e adesso abbiamo dovuto di nuovo abbandonare tutto. Conosco molta gente che non ha nessuna intenzione di rimettersi in marcia. Sono morti tanti bambini come i miei nipoti, non abbiamo più speranza».
I volantini dal cielo
«A Khan Younis piovo-no volantini: lasciate quest’area. Ma siamo sfiniti, non fuggiremo»
Yara Abu Maddain di anni ne ha 27 e si trova a nord di Gaza City. «Bombardano in continuazione e i miei fratellini piangono sempre ma almeno sono vivi», racconta. Della sua città dice che «non riconosco più le strade. Le amiche non le sento più, Internet va quando vuole e non possiamo andare da nessuna parte perché rischiamo di morire. Mi chiedo: ma il mondo ci vede? Quale altro popolo ha dovuto subire tanto?». Il cibo è sempre più scarso, Yara ci dice che «i miei fratelli piangono per la fame, anch’io ce l’ho ma cerco di non pensarci».
La dottoressa Tiziana Roggio, 37 anni, italiana dalla vita a Londra, sta consumando le ferie all’ospedale Nasser di Khan Younis, a sud della Striscia, dove si occupa di chirurgia plastica. La sua giornata-tipo, diciamo, nel mezzo della guerra: «Operiamo 10-11 pazienti al giorno, stiamo in sala 12 ore tutti i giorni e vediamo lesioni devastanti. Moltissime delle persone che sopravvivono avranno invalidità serie a vita. Due giorni fa c’era questo bambino di tre anni completamente ustionato che non diceva una parola. Niente. Nemmeno un lamento. Ho pensato a lui a lungo, al trauma che ha vissuto e che vivrà nella vita... L’altro giorno è arrivato un ragazzo rimasto paraplegico per una ferita d’arma da fuoco... avrà avuto sì e no 25 anni. Magari operi bambini e poi cerchi i parenti ma non ce ne sono perché quei piccoli sono gli unici superstiti». La paura più grande? Non le bombe ma «che possano evacuare l’ospedale. Per adesso siamo fuori dall’ordine di evacuazione ma se ci dicessero di sfollare molti pazienti morirebbero».
A Gaza City rintracciamo Martina Marchiò, 33 anni, un’altra operatrice di Medici senza frontiere; infermiera ma lì con il ruolo di coordinatrice medica. «La tensione è alle stelle», ci racconta, «la gente è disperata, chiede da mangiare. Arrivano sempre più bambini e donne in gravidanza o allattamento malnutriti. Vedere persone che piangono per la fame, adulti o bambini che siano, sentirli mentre dicono che non mangiano da quattro-cinque giorni, è insopportabile, devastante. È entrato un centinaio di camion? È niente. Una goccia nell’oceano, ne servirebbero 600 al giorno. Stiamo razionando i medicinali. La mancanza di medicinali significa che negli ospedali, tutti sovraffollati, molte volte si decide chi salvare. Nei nostri ambulatori dobbiamo mettere un limite al numero di pazienti da curare». È tutto inimmaginabile. Troppo.
Giusi Fasano - Greta Privitera