GROENLANDIA. IL SILENZIO INFRANTO. Viaggio nell’isola, di Paolo Giordano

Bellissimo articolo di Paolo Giordano
GROENLANDIA. IL SILENZIO INFRANTO
Viaggio nell’isola

Una coincidenza, oppure una finezza estrema del governo americano: il video in cui Usha
Vance ha annunciato il suo imminente viaggio in Groenlandia è stato pubblicato proprio nel Nordic
Day, il giorno dedicato all’unione delle nazioni nordeuropee.

Usha Vance voleva andare a vedere la gara annuale di slitte trainate dai cani ad Avannaata, ne ha letto «tutto con i suoi figli». A dire il vero non sembrava avere un’idea molto precisa di cosa l’aspettasse. Di quanto remota è Avannaata, di quanto possono essere inclementi le condizioni lassù.

Non va giudicata troppo severamente. Nessuno sa davvero cos’è «qui» senza essere stato qui. Anche trascorrere del tempo a Nuuk, come sto facendo io, è sufficiente solo per intuire la vastità inafferrabile della Groenlandia, tutto quello che non si conosce e non si conoscerà.

In questa stagione non è possibile raggiungere nessun altro centro abitato dalla capitale se non in elicottero, in aereo o in traversate via mare che dipendono dalla concentrazione di iceberg nei fiordi. Non è solo il meteo a cambiare in continuazione: è la geografia stessa. Un posto raggiungibile, d’un tratto non lo è più. I tempi si dilatano. Pianificare diventa illusorio. Soprattutto in questa stagione, la Groenlandia si presenta più simile a una costellazione diradata che a un unico Paese.
 
La ricercatrice
Penny vive qui da sei anni, è una ricercatrice inglese, si occupa di ghiacci. Dopo avermi mostrato su una mappa le velocità diverse con cui si spostano i ghiacciai dell’isola mi dice: «L’esperienza della Groenlandia ti rende umile». Umile rispetto alla supremazia della natura. Umile rispetto alla sua vastità. Umile rispetto al sapere. «C’è una conoscenza tramandata alla quale non hai accesso dai manuali accademici, a cui forse non hai accesso in quanto straniera. E nel tempo ho capito che è giusto così».

La presenza umana è residuale. Per questo l’azione di Trump degli ultimi mesi — sebbene limitata a una serie di dichiarazioni, alla visita «privata» del figlio che a gennaio distribuiva cappellini Make Greenland Great Again e adesso a quella dei Vance — è di per sé un’aggressione. Peggio ancora: un’invasione. Perché è già smisurata rispetto ai ritmi delle persone, alla loro abitudine a trovarsi lontano e in pace.

C’è chi teme di svegliarsi una mattina e trovare le navi militari statunitensi al largo di Nuuk. Probabilmente non succederà. Ma il punto non è questo. Esistono molte forme di conquista e quelle odierne sono spesso ibride, impalpabili. Trump ha giurato di prendersi la Groenlandia «one way or the other», ed è precisamente quello che sta facendo. La pressione americana sulla popolazione groenlandese si è accompagnata fin dall’inizio a un aumento di contenuti divisivi sul social network più diffuso, che è ancora Facebook. Per esempio è tornata in auge la viscida campagna di contraccezione che i medici danesi imposero alle donne inuit negli anni Sessanta e Settanta. Come se tutte quelle spirali impiantate con l’inganno fossero un torto da riparare adesso.

La nuova colonizzazione sfrutta quella precedente: le responsabilità storiche della Danimarca vengono usate per dividere le persone (come tecnica non è troppo diversa dalla propaganda con cui la Russia ha preparato in largo anticipo l’invasione dell’Ucraina).

Alcuni media artici denunciano un aumento di contenuti falsi, creati con l’intelligenza artificiale e attribuiti alle loro testate. Se sei costretto a smentire una notizia falsa di solito è già tardi, significa che si è già diffusa, ed è particolarmente drammatico qui, dove le singole comunità sono piccole e interconnesse. La regia di tutta questa discordia, se esiste, è invisibile. Ma una volta che il terreno è pronto, ecco che arriva Usha Vance, «excited», «thrilled», improvvisamente curiosa delle tradizioni locali. Ed ecco che si unisce JD Vance «per non lasciarle tutto il divertimento», anche se dopo le proteste la visita si restringe a un giro delle basi militari per buttare lì altro veleno, il sospetto che negli ultimi anni la Groenlandia non sia stata protetta come meritava. Ma protetta da chi precisamente? Viene da chiederselo dopo che Trump, ieri, ha alzato ancora il tiro: «We have to have it». Ci conviene osservare bene quello che succede nell’Artico d’ora in avanti. Può aiutarci a vedere meglio dei processi nei quali siamo coinvolti anche noi.

Senso di lontananza
A volte, stando qui, mi stacco per un attimo dagli articoli che sto leggendo e dagli aggiornamenti, dal flusso, e mi rendo conto del silenzio. Sebbene Nuuk sia una capitale, con automobili che percorrono la strada principale a tutte le ore, c’è un silenzio di fondo diverso. Come se la città poggiasse su un pannello fonoassorbente. Allora le trame geopolitiche sembrano di nuovo remote, estranee. Ma non è così. E il senso di lontananza genera un’incredulità pericolosissima. Penny se n’è resa conto. Si è allontanata dall’Inghilterra prima del Covid, perché il rumore lì le sembrava troppo. «Ora purtroppo, dice, il rumore è arrivato anche qui».
Paolo Giordano,
Corsera 27 marzo 2025