D’altra parte sono passati tanti giorni e il loro numero è minimo, ormai, rispetto alle vittime che nel frattempo si sono accumulate a Gaza, alla devastazione. Eppure sono sempre stati loro, gli ostaggi israeliani, il centro di gravità di questa guerra. La garanzia che potesse svolgersi in un perenne stato di eccezione. Nel dominio dei crimini di guerra. Del cinismo e perfino del sadismo.
A Tel Aviv la presenza degli ostaggi è ancora pervasiva. Cartelloni, radio, televisione, la piazza che ormai è chiamata «Hostages Square». I loro volti trattengono l’opinione pubblica in uno stato di sospensione, anzi di infiammazione attiva, impedendo qualunque moto decisivo di sdegno rispetto a quello che nel frattempo è stato fatto a Gaza. La loro permanenza nei tunnel è un salvacondotto per le frange più estremiste della popolazione e del governo.
Ma dopo le immagini degli ultimi rilasci — la ragazza spinta nella calca di esaltati, i tre uomini visibilmente deperiti portati ieri sul palco —, sappiamo che gli ostaggi sono anche per Hamas qualcosa di più di un oggetto di scambio. Perché tutta questa teatralità altrimenti? Perché il palco, la scenografia, i certificati, perfino i numeri cuciti sulle maglie per suscitare paragoni inevitabili con i campi di sterminio? Torna in mente la strategia di marketing dell’Isis, quando le decapitazioni venivano filmate con la massima cura estetica. Ma l’Isis aveva il progetto evidente di trasmettere un’immagine di forza, seduttiva, e attirare nuovi martiri alla sua causa. Chi vuole sedurre Hamas? Cosa vuole ottenere? Almeno in apparenza il palco è in contrasto con la narrazione di Gaza distrutta, delle decine di migliaia di vittime civili, del genocidio, del controesodo straziante di un popolo in cammino verso le proprie case distrutte.
Forse, molto semplicemente, i destinatari della drammaturgia non siamo noi. Abbiamo la tendenza a metterci al centro, ma può darsi che quelle sequenze non siano pensate per il nostro delicato immaginario. Ciò che è certo è che mirano a estremizzare il conflitto. Ancora di più. Proprio come mira a estremizzarlo la presenza sorniona di Netanyahu accanto a Trump, mentre dice le cose che dice sul futuro della Striscia. Gli attori più potenti di questa guerra non desiderano altro che estremizzare, per andare ancora avanti, al di là del cessate il fuoco, fino in fondo, qualunque sia il fondo.
Il percorso degli ostaggi viene filmato in tutti i suoi passaggi, da Deir Al Balah fino al confine e poi in Israele. Un apparato televisivo poderoso. Il ricongiungimento con le famiglie è immortalato in campo e controcampo. Almeno nella volontà di costruire una sceneggiatura completa, le due parti sembrano coordinate. Uno strano, stranissimo reality show. E al centro ci sono loro. Una ragazza. Tre uomini. Affamati, sfiniti. Dai nascondigli in cui si trovavano non hanno idea di tutto ciò che nel frattempo è avvenuto in loro nome sulla superficie. E non hanno neppure idea se i loro familiari siano vivi o morti.
Paolo Giordano, Corriere della Sera, 9 febbraio 2025