DA FICO A BONAFEDE, NEL M5S IL BATTIQUORUM DELLA VECCHIA GUARDIA (CHE VUOLE TANTO TORNARE), di Fabrizio Roncone

Se non li avessi visti e sentiti personalmente nelle loro esternazioni, non avrei creduto che effettivamente sono esistiti. E invece è tutto vero, povera Italia! Taverna! Bonafede! Crimi! Fico! E Lombardo, Giulia Grillo, Di Maio, e tutta quella pletora spaventosa dell'uno vale uno.
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di Fabrizio Roncone

Questa è la storia di alcuni grillini (tra cui personaggi sublimi come la Taverna o dj Fofò Bonafede: ma ora ci arriviamo) che oggi cominciano la peggior settimana della loro vita.

E Fico? Sì, tra qualche riga, c’è pure lui.

E Vito detto «orsacchiotto»? Ma certo, nella storia non può mancare nemmeno Crimi.

Ci sono tutti quelli che pensavano di aver vinto per la seconda volta alla lotteria della politica, tutti in processione e chini, adoranti, a mani giunte dietro a Giuseppe Conte, tutti convinti che il camaleonte di Volturara Appula gli avrebbe garantito un terzo mandato e un altro ricco giro di giostra in Parlamento. E invece il loro vecchio capo, il fondatore comico e feroce, assetato di potere e soldi, Beppe Grillo, non ci sta ad essere rimosso dal ruolo di garante e rinunciare a 300 mila euro di consulenza, chiamiamola consulenza, all’anno: e così li obbliga, costringe il Movimento 5 Stelle a un’altra conta, un riconteggio spietato (si vota dal 5 all’8 dicembre e, anche stavolta, servirà che a esprimersi sia almeno il 50% degli aventi diritto: esito non prevedibile).

La sfida finale si gioca tutta sul quorum. Conte — che se perde rischia di doversi dimettere — fa il baldanzoso e dice che «a votare andrà anche più gente dell’ultima volta» e però se tu sei Paola Taverna, di queste belle rassicurazioni non sai che fartene. Hai 55 anni, sei inchiodata dal limite del doppio mandato, ma te lo ricordi bene di quando lavoravi in un laboratorio di analisi cliniche e, all’improvviso, ti ritrovasti al Senato, senatrice.

Che giorni memorabili.

Che risse.

Un pomeriggio, nel sacro emiciclo, si presenta con una maglietta stretta a righe orizzontali, un paio di jeans strappati e ai piedi due zatteroni in sughero da mare che ormai nemmeno più a Capocotta. «Embé? Dentro a sto’ posto ce devo sta armeno quattr’ore… Nun me posso mette comoda?». Coatta. Arrogante. Becera. Rivolgendosi a Berlusconi: «Un giorno de questi, giuro, je sputo». Urla: «Io nun so’ na politicaaa! Io so’ pura, brutta banda de’ zozzoni!». Poi scopriamo che la madre occupa abusivamente una casa popolare. Taverna, allora? Ma lei — nel frattempo — si è trasformata: eccola tutti in ghingheri, il tailleur giusto e la Louis Vuitton, l’hanno appena nominata vicepresidente del Senato («In Parlamento abbiamo visto cose che voi umani...», cit) e allora lei cerca di azzeccare i congiuntivi. Però un pomeriggio sbotta: «A Vitooo! Ma che stai a dì? Quando parli, nun te capimo...».

Lui, Vito Crimi, ex impiegato presso la Corte d’Appello di Brescia, ma nato a Palermo, quartiere Brancaccio, viene avanti con quell’aria da falso pacioccone (il copyright del soprannome «orsacchiotto» è di Roberta Lombardi, raro esemplare di grillina ironica), lo sguardo torvo, la vendetta sempre covata. Perfetto nel ruolo del grillino duro e puro. Un giorno, a Radio Luiss, confessa: «I giornalisti mi stanno sul c...». È sincero. E non sarebbe l’unico a nutrire questo sentimento. C’è però il problemino che, intanto, l’hanno fatto sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la delega all’Editoria. Populista, cattivello, minacciosetto, ha un’idea efferata: vuole chiudere Radio Radicale. Capito? Orsacchiotto voleva chiudere Radio Radicale. «Sei un gerarca minore», lo gela Massimo Bordin, il fuoriclasse che la dirigeva.

Crimi incassa, farfuglia qualche scusa. Ma Crozza comincia ad imitarlo. Con ironia lo azzanna anche Fiorello. Una fonte racconta allora che Vito il frugale, Vito il severo, con la prima moglie si è sposato come un Principe del Galles, con un ricevimento lussuoso sull’Appia Antica, e lui, che ai meet-up si presentava scamiciato e ribelle, è tutto in ghingheri, in tight, mentre scende da una Rolls Royce Excalibur grigio perla.

Le macchine, la loro debolezza.

Come le barche per Massimo D’Alema.

O gli aerei per Matteo Renzi.

I grillini hanno lentamente cambiato idea su tutto: sulla democrazia diretta e sullo streaming (ricordate quella pagliacciata di cui fu vittima Pier Luigi Bersani nel 2013?), sulle banche e sull’Europa, su Tav e Tap, ma è sulle auto blu che hanno resistito solo poche settimane.

Tutti. Anche Roberto Fico. Che, il primo giorno, arriva a Montecitorio scendendo da un bus. Guardatemi: io resto un cittadino semplice. Poi gli mostrarono una fiammante Bmw, con i sedili in pelle e i vetri oscurati. Aprì lo sportello: e si tuffò. Era il sogno realizzato di un quarantenne che aveva fatto un sacco di mestieri a Napoli — dopo aver importato tessuti, era diventato direttore d’una società di catering — ed è ancora a Napoli, dopo esser stato anche presidente della Camera, che adesso Elly Schelin medita di rimandarlo, candidandolo a governatore della Campania (contro Enzo De Luca: auguri). Infatti Fico è tra quelli che ripete: «L’idea del limite al doppio mandato è un’idea superata».

Quante idee paiono a questi grillini ormai vecchie (annuiscono tutti quelli che sperano di essere rieletti, e sono tanti: da Fabiana Dadone a Giulia Sarti, da Laura Bottici a Gianluca Castaldi). Inocularono nel Paese il terribile virus dell’«uno vale uno», sostenendo che la competenza fosse inutile, e l’esperienza, più che un valore, un fastidio. Solo che adesso un tipo come Alfonso Bonafede è proprio su questo che punta: sul curriculum. Bonafede più di tutti. Ex leggendario dj alla discoteca Extasy di Mazara del Vallo, è stato alla guida della Giustizia per due governi di seguito, nel Conte I e nel Conte II. Però confonde il 41-bis (carcere duro) con il 416-bis (associazione a delinquere di stampo mafioso). E la «colpa» con il «dolo»: seduto da Bruno Vespa, cercava di spiegare la cosiddetta «abolizione della prescrizione». Un gigante. Anche perché è lui che porta «Giuseppi», come dice Trump, dentro al Movimento. Era il 2013, i 5 Stelle reclutavano giuristi. «Io ne conosco uno. È stato il mio prof di Diritto privato a Firenze...».

Non sono storie stupende?

Se la votazione va come deve andare, se davvero riescono a far fuori Beppone, e Conte vince, questi tornano. Ce li meritiamo?
Fabrizio Roncone, Corriere della Sera, 2 dicembre 2024