ELEZIONI EUROPEE. SINDACO DI RIACE. MIMMO LUCANO, di Anna Mallamo

Meraviglioso! Anna Mallamo credo interpreti tutti noi, donne e uomini di buona volontà e degni dell’Umanità.
Grazie, Anna.
Grazie, Mimmo Lucano.
Grazie, Calabresi e Italiani giusti.
No alla prevaricazione. No all’ingiustizia. No alla prepotenza, all’interesse del singolo, all’avidità, alla corruzione, all’indifferenza, al girarsi dall’altra parte.
No alla cosa pubblica in mano a ladri e corrotti.
Lucia Talarico
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di Anna Mallamo

<< L'avevo scritto nel 2019, vale perfettamente oggi. Oggi che stiamo facendo una cosa che non capita spessissimo: mandare alcuni dei migliori di noi a rappresentarci. Mandare in un'Europa in cui ci sono i neonazisti (capite che tabù è stato infranto?) Mimmo nostro, Mimmo Lucano sindaco di Riace (lo è di nuovo, e questo è più d'una restituzione simbolica, è un allineamento di pianeti). Riace diventi centro d'Europa, laboratorio di cose umane.

<< È una parola che uso con disagio, forse con imprudenza. Certo con ardimento. Ma io credo che Mimmo Lucano sia un santo. Un santo laico di paese, un santo antico senza religioni, un santo povero, beffato ma amato, perseguitato ma resistente. Un santo inconsapevole, recalcitrante - detesta ogni definizione che sia appena superiore all'unica che riconosce e approva: uomo.
Lo sospettavo da sempre, ieri sera ne ho avuto la certezza. Sul palco dell'Auditorium di Vibo - strapieno, traboccante non solo di pubblico, ma anche d'un sentimento d'amore collettivo, di gratitudine, d'una strana bellezza in cui nulla c'è di fatuo - dentro il Festival Leggere & Scrivere, Vibo Valentia, che fa succedere queste cose sorprendenti (io e Alfio Mastropaolo eravamo lì solo per fare qualche domanda: non c'è nulla di moderabile, in Mimmo Lucano, o di contenibile nei format degli incontri consueti, delle interviste, dei dibattiti. Per fortuna).

<< Mimmo Lucano si schermisce, si mette indietro, accetta quell'ondata d'amore solo perché è l'unica forza che riconosce e segue fin da quando era giovane, e di notte non dormiva perché le ingiustizie del mondo lo facevano soffrire. Allora c'era il Cile, c'erano altri grandi sogni e altre colossali malefatte in giro per il mondo. Lui era un idealista, un emigrato, un inquieto ma non dell'inquietudine egocentrica che consideriamo moderna.
Doveva tornare alla sua Riace, il suo villaggio dell'anima, e rattopparla - era già cominciata da tempo l'erosione maligna dell'Italia dei paesi, la desertificazione umana e sentimentale delle aree interne, delle nostre Mesopotamie non più fertili, non più vitali.
Un vascello di curdi - e questo è già un film di Wim Wenders, un cielo sopra Riace, con tutti gli angeli al posto giusto, ma angeli rovinati dalle mani grosse, impazienti di fare qualcosa per aiutare l'emtropia (il contrario dell'entropia) dell'universo - s'arenò sulla marina. Qualcuno - Mimmo dice un ragazzo curdo turco, un perseguitato tra gli altri - ebbe l'idea semplice, geniale. L'idea di base di ogni vangelo (quella inconcepibile nel nostro mondo alla rovescia, dove le merci vanno protette e gli uomini no, dove le merci viaggiano e gli uomini non possono farlo): popolare la terra, riempire le case vuote con le persone senza casa. Ricucire i paesi, riparare i viventi rotti, rammendare le comunità coi fili che venivano da altre comunità spezzate e svuotate da altre guerre.

<< Il racconto di Mimmo Lucano è ininterrotto, e mai, mai sentiamo la parola "io". È inequivocabile, clamoroso e vero: a lui non importa nulla di sé. E persino i nostri applausi, le effusioni del pubblico - roba per cui altri, quasi tutti gli altri, ucciderebbero - lo imbarazzano. Lui vuole solo fare cose, cose pesabili e misurabili ma non con le bilance e i metri della politica né della burocrazia (che poi è quel che è accaduto per l'inchiesta che lo riguarda: hanno pesato e misurato il miracolo di Riace con gli strumenti sbagliati, hanno cercato di farlo stare dentro i protocolli, ma quello esondava e ribolliva, meraviglioso, fuori).
Ci racconta, con la sua voce faticosa, sudando un poco, affaticato da tutta quella ribalta, della carta d'identità firmata per Becky, 26 anni, che sarebbe andata a morire nella baraccopoli di San Ferdinando perché i pesi e le misure avevano stabilito che lei non aveva diritto all'accoglienza. "Era piena di gioia", dice Mimmo, gli brillano gli occhi, per la gioia per il dolore (persino il corpo di Becky non lo voleva nessuno, e se lo prese di nuovo Riace, come si prendeva tutto, come accorreva a ogni sbarco, chiamata dalle stesse burocrazie che poi gliene hanno fatto una colpa, e l'hanno chiamato reato).

<< Come si pesa e si misura la gioia? Come si pesa e si misura il dolore?
Ci vuole un Mimmo Lucano, una misura interamente umana che traduce le burocrazie in comunità, i formulari in gesti, le prescrizioni in invenzioni (e c'è una fantasia, un'inventiva, in tutta la storia di Riace, che fanno pensare alle cose più belle realizzate dagli uomini).
Accanto a Mimmo Lucano, immersi in quella sua narrazione faticosa ma immensa, nell'ininterrotto romanzo della speranza che è Riace - la notizia è che Riace non muore, che non occorre essere sindaco (però aiuta) per riaprire l'asilo e far ripartire il frantoio (che metafora: gli uomini schiacciati, l'olio del mondo), per resistere - hai la percezione della santità, che non è nulla d'immacolato e ultraterreno, semmai è interamente terrestre e persino sporca, sudata, affaticata.
Lo abbiamo applaudito mille volte, e lui abbassava la testa e diceva no, no, e voleva soltanto continuare a raccontare. E alla fine ha detto: venite a Riace, non lasciateci soli. >>