La Genova ferita dal terrorismo e la tirannia oscurantista di Hamas, di Ernesto Galli della Loggia

È un libro di cui non privarsi, un’opera magistrale scritta tra l’altro con avvincente piglio narrativo, questo di Sergio Luzzatto: che finora non ha suscitato però una grande attenzione (Dolore e furore. Una storia delle Brigate rosse, Einaudi, pagine 704, euro 38). È il racconto della nascita, vita e morte della colonna genovese delle Br, la prima a percorrere le tappe cruciali del terrorismo rosso, con al centro la vita breve e disperata del suo giovane capo, Riccardo Dura. Ma soprattutto nuova e importante è l’idea di partire da quello che fu il vero sfondo della lotta armata: l’Italia dai mille fermenti, avviata alla modernità, calata nella Genova degli anni Sessanta sapientemente descritta grazie a un vastissimo materiale documentario. E dunque il porto, le fabbriche — con un’antica classe operaia comunista che si riempie subitaneamente di immigrati ignari —, con i giovani cattolici del dissenso alle prese con il cardinale Giuseppe Siri, e poi la borghesia e l’elite Pci con i figli che tradiscono i padri, i cattivi maestri dell’Università, e poi ancora i mille luoghi, le scuole, gli amori: il sapore di una lontananza ancora così vicina…

Che cosa era e come si viveva a Gaza prima del 7 ottobre ce lo racconta una giovane scrittrice palestinese insieme a una sua collega francese (Asmaa Alghoul e Sélim Nassib, La ribelle di Gaza, Edizioni e/o, pagine 197, euro 16,50). In complesso non proprio «una prigione a cielo aperto», si direbbe: i campi profughi, certo, ma anche alberghi stellati, case confortevoli, ristorantini. Su questo sfondo il racconto di un tormentato ma riuscito processo di emancipazione femminile costretto a dipanarsi tra le grinfie di Hamas: onnipresente, oppressivo, maschilista, sessuofobico, impegnato a controllare ossessivamente ogni cosa; e quando capita anche crudele con quelli che di fatto sono i suoi sudditi (però non molto diversa Al Fatah: per giunta corrottissima, con i figli sedicenni dei capi che ricevono stipendi mensili di due-tremila dollari). E infine Israele, che quando arriva con i suoi soldati non fa certo complimenti (anche se delle migliaia di razzi sparati da Gaza contro le sue città in queste pagine, curiosamente, non si fa mai parola).