#Palestina #Gaza #Israele
Impossibile, dimenticare una guerra che è ancora qui. La ricordano in tutto Israele: coi raduni nelle piazze e le manifestazioni contro Bibi Netanyahu (ma sono pochi i cartelli che chiedono lo stop alle armi); coi videomessaggi di Macron e un ritrovo questa mattina all’alba, nei campi dove morirono i ragazzi del rave (ore 6.29 esatte: l’inizio del massacro); coi minuti di silenzio a New York e Parigi. E la commemorano i palestinesi di tutto il mondo, men che a Gaza: con le scarpine dei bimbi messe in fila e le piccole lapidi bianche nelle piazze di Amsterdam e di Napoli; con le bandiere del Sudafrica («thank you, Mandela!») che ha denunciato all’Aia il genocidio d’Israele; con qualche slogan pro Hamas e pro Hezbollah, a Giacarta come a Islamabad…
I cento giorni di guerra che sconvolsero Israele, distrussero Gaza, incendiarono il Medio Oriente. Il più lungo conflitto mai visto fra israeliani e palestinesi. Il peggior massacro d’ebrei dal 1945. Il bombardamento più pesante della storia moderna: Gaza peggio di Mariupol, d’Aleppo, perfino di Dresda. Più di 1.200 israeliani seviziati e ammazzati da Hamas, 240 in ostaggio, 500 mila sfollati dai kibbutz. E poi 23.843 palestinesi morti, 60 mila feriti, un milione 900 mila senzacasa. Cento giorni che sono «una macchia sulla nostra comune umanità», dice Philippe Lazzarini, capo dell’Agenzia Onu dei rifugiati, che a Gaza ha perso 142 uomini. L’Operazione Spada di Ferro è entrata nella sua terza fase, ma senza grandi risultati. 186 soldati sono caduti, metà degli ostaggi sono ancora ostaggi, Hamas è ancora in sella, la Striscia non è ancora conquistata, sulle città arrivano ancora i razzi di Hamas, non c’è ancora un piano per il dopo, il deficit pubblico è raddoppiato, la Cisgiordania è isolata e ribolle: per sostituire gli 80 mila muratori palestinesi che lavoravano in Israele, Bibi sta importando braccia fresche dalla Cina. «Gli israeliani vogliono che le guerre vadano bene — osserva lo storico Tom Segev —, ma questa non va così bene. Ci sconvolgerà per generazioni. C’è una sensazione di tradimento da parte della nostra leadership. E in generale, s’avverte qualcosa di profondamente sbagliato…». Gaza è irriconoscibile: in cento giorni, è piovuta in media una bomba ogni dieci minuti. Esplosioni micidiali, con raggio fino a 365 metri. Le foto satellitari, che la ritraevano bianca, ora ci mostrano una Striscia marrone: l’1% della popolazione è morto, il 25% alla fame, 10 mila bambini sono spariti, il 70% delle case è inabitabile, 23 ospedali su 36 sono inservibili, 200 fra moschee e chiese sono a pezzi, compreso il sacrario dov’è sepolto il nonno di Maometto. «L’assistenza umanitaria — dice l’Onu — è ormai impossibile». E «questi dolorosi sviluppi — pensa Abu Rudeineh, portavoce di Abu Mazen — dimostrano che la questione palestinese non può più essere ignorata». C’è stata solo una tregua di 4 giorni. C’è un negoziato al Cairo, interrotto sette volte. Ci sono state una decina d’esecuzioni mirate fra Libano, Iran, Iraq. C’è un incendio che s’allarga dal confine libanese allo Yemen. «Bring them home now!», grida la Piazza degli Ostaggi. «Stop al genocidio!», urlano le piazze pacifiste. Questi cento giorni ci hanno insegnato che Gaza non sarà più la stessa, ma nemmeno Israele.
Costruiscono un finto tunnel di 30 metri su quella che tutti chiamano la piazza degli Ostaggi, a Tel Aviv, e ci si può entrare h24. Il buio, l’angoscia: «Per capire quel che stan provando i 132 rapiti…». Sfilano con un pupazzo alto tre metri e mezzo per il centro di Londra, l’hanno chiamato Little Amal ed è un gigantesco bambino, come i 10 mila piccoli palestinesi uccisi a Gaza: «Per non dimenticarli…».
Impossibile, dimenticare una guerra che è ancora qui. La ricordano in tutto Israele: coi raduni nelle piazze e le manifestazioni contro Bibi Netanyahu (ma sono pochi i cartelli che chiedono lo stop alle armi); coi videomessaggi di Macron e un ritrovo questa mattina all’alba, nei campi dove morirono i ragazzi del rave (ore 6.29 esatte: l’inizio del massacro); coi minuti di silenzio a New York e Parigi. E la commemorano i palestinesi di tutto il mondo, men che a Gaza: con le scarpine dei bimbi messe in fila e le piccole lapidi bianche nelle piazze di Amsterdam e di Napoli; con le bandiere del Sudafrica («thank you, Mandela!») che ha denunciato all’Aia il genocidio d’Israele; con qualche slogan pro Hamas e pro Hezbollah, a Giacarta come a Islamabad…
I cento giorni di guerra che sconvolsero Israele, distrussero Gaza, incendiarono il Medio Oriente. Il più lungo conflitto mai visto fra israeliani e palestinesi. Il peggior massacro d’ebrei dal 1945. Il bombardamento più pesante della storia moderna: Gaza peggio di Mariupol, d’Aleppo, perfino di Dresda. Più di 1.200 israeliani seviziati e ammazzati da Hamas, 240 in ostaggio, 500 mila sfollati dai kibbutz. E poi 23.843 palestinesi morti, 60 mila feriti, un milione 900 mila senzacasa. Cento giorni che sono «una macchia sulla nostra comune umanità», dice Philippe Lazzarini, capo dell’Agenzia Onu dei rifugiati, che a Gaza ha perso 142 uomini. L’Operazione Spada di Ferro è entrata nella sua terza fase, ma senza grandi risultati. 186 soldati sono caduti, metà degli ostaggi sono ancora ostaggi, Hamas è ancora in sella, la Striscia non è ancora conquistata, sulle città arrivano ancora i razzi di Hamas, non c’è ancora un piano per il dopo, il deficit pubblico è raddoppiato, la Cisgiordania è isolata e ribolle: per sostituire gli 80 mila muratori palestinesi che lavoravano in Israele, Bibi sta importando braccia fresche dalla Cina. «Gli israeliani vogliono che le guerre vadano bene — osserva lo storico Tom Segev —, ma questa non va così bene. Ci sconvolgerà per generazioni. C’è una sensazione di tradimento da parte della nostra leadership. E in generale, s’avverte qualcosa di profondamente sbagliato…». Gaza è irriconoscibile: in cento giorni, è piovuta in media una bomba ogni dieci minuti. Esplosioni micidiali, con raggio fino a 365 metri. Le foto satellitari, che la ritraevano bianca, ora ci mostrano una Striscia marrone: l’1% della popolazione è morto, il 25% alla fame, 10 mila bambini sono spariti, il 70% delle case è inabitabile, 23 ospedali su 36 sono inservibili, 200 fra moschee e chiese sono a pezzi, compreso il sacrario dov’è sepolto il nonno di Maometto. «L’assistenza umanitaria — dice l’Onu — è ormai impossibile». E «questi dolorosi sviluppi — pensa Abu Rudeineh, portavoce di Abu Mazen — dimostrano che la questione palestinese non può più essere ignorata». C’è stata solo una tregua di 4 giorni. C’è un negoziato al Cairo, interrotto sette volte. Ci sono state una decina d’esecuzioni mirate fra Libano, Iran, Iraq. C’è un incendio che s’allarga dal confine libanese allo Yemen. «Bring them home now!», grida la Piazza degli Ostaggi. «Stop al genocidio!», urlano le piazze pacifiste. Questi cento giorni ci hanno insegnato che Gaza non sarà più la stessa, ma nemmeno Israele.
Tel Aviv Francesco Battistini - Corriere della Sera 14 Gennaio 2024