«Ho ucciso la mia ragazza». Sono queste le prime parole che Filippo Turetta ha detto alla polizia tedesca quando sabato sera l’ha arrestato per l’omicidio di Giulia Cecchettin. C’è, in quelle parole, tutto il senso del femminicidio che ha commesso. Perché Giulia Cecchettin non era più la sua ragazza e soprattutto non era «sua»: era una giovane donna che si stava facendo strada nella vita senza voler stare con lui. Che stava già andando più avanti di lui, perché pochi giorni dopo si sarebbe laureata, mentre Turetta era rimasto indietro con gli esami. Questa sua autonomia, questo suo saper vivere senza di lui era talmente inconcepibile per Turetta che piuttosto l’ha uccisa. E che anche dopo averla uccisa continua a chiamarla «la mia ragazza». Non è così: Giulia Cecchettin era la ex ragazza di Filippo Turetta. E questo fa tutta la differenza del mondo. Giulia dunque non era la sua ragazza, ma era una ragazza libera.
«Ci fa male vederci additare come genitori inadeguati, come una famiglia simbolo del patriarcato. Non lo siamo mai stati, non è quello che abbiamo insegnato a nostro figlio. Anzi, parlavamo spesso in casa di questi temi, soprattutto quando i ragazzi partecipavano agli eventi organizzati dalla scuola... Ora, non sappiamo davvero darci una spiegazione» dicono il padre e la madre di Turetta, Nicola e Elisabetta. Non si può che provare pietà per questi genitori distrutti e persino ammirazione per la limpidezza con cui hanno mostrato il proprio dolore per Giulia e la propria angosciata incredulità di fronte a quello che ha fatto il figlio.
Il problema però è che il patriarcato — quel sistema implicito di valori e potere che Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, ha denunciato con tanta efficacia nella sua lettera al Corriere — è così pervasivo e così diffuso che si respira ovunque, non solo in famiglia. E spesso senza rendersene conto: sta per esempio nelle aspettative non dette che impongono ai ragazzi di «avere» una ragazza e misurare il proprio valore su quel possesso. Liberarsene davvero, soprattutto per chi ne gode i privilegi, è molto più difficile che dirlo. Il femminismo è stato anche questo: un lungo processo di lavoro su sé stesse con cui (molte) donne hanno distrutto i pregiudizi e gli stereotipi che non sapevano neppure di avere e hanno imposto alla società di farci i conti.
Un modo di iniziare a liberarsi da quel sistema sbagliato di valori è scegliere le parole giuste e quindi pensare la realtà nel modo giusto: Giulia non era la ragazza di Turetta. Giulia era una ragazza libera.
Elena Tebano