Il popolo palestinese di Gaza è responsabile delle azioni di Hamas? di Alessandro Trocino

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Washington Post, Intelligencer, Haaretz

Il popolo palestinese di Gaza è responsabile delle azioni di Hamas?
editorialista
di Alessandro Trocino

Il presidente israeliano Isaac Herzog è forse il politico che l’ha detto con più chiarezza: «È un’intera nazione là fuori che è responsabile. Questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti, non è assolutamente vera. Avrebbero potuto ribellarsi, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio». La tesi è che la responsabilità per l’assalto di Hamas, con il corollario di feroce violenza, di decapitazione, di offesa ai corpi e rapimento di oltre 200 ostaggi, non ricade solo sull’organizzazione terroristica, ma sui 2 milioni e 300 mila palestinesi che abitano Gaza. Se fosse vero quest’assunto, e cioè ci fosse una «colpa collettiva», sarebbe anche legittima una ritorsione su Gaza che finisca per diventare una «punizione collettiva». Un altro esempio sono le parole del ministro della Difesa Yoav Gallant che, dopo avere ordinato l’assedio completo, tagliando l’acqua, il carburante e l’elettricità, dice: «Stiamo combattendo contro degli animali e stiamo agendo di conseguenza». Il risultato è che da giorni Israele bombarda Gaza e, come scrive Jonah Shepp su Intelligencer, «queste non sono le azioni di un governo eccessivamente preoccupato di distinguere i civili dagli obiettivi militari». Le vittime palestinesi sono intorno a seimila, secondo il ministero della Salute palestinese. Essendo controllato da Hamas, non è detto che non siano cifre gonfiate. Ma la distruzione delle abitazioni e il livello dei bombardamenti giustifica il conto di migliaia di vittime, per lo più civili e con molti bambini.
 
È un tema che si pone sempre nei regimi dittatoriali, e in particolare in quelli dove l’arrivo al potere avviene attraverso elezioni, o almeno attraverso un simulacro di suffragio democratico. Così è avvenuto a Gaza nel 2006. L’anno successivo al ritiro delle truppe e dei coloni dalla Striscia di Gaza, l’Autorità nazionale palestinese, che ancora comanda in Cisgiordania, indice elezioni in tutti i territori. Il risultato è scioccante. Hamas vince, ottenendo il 44, 45 per cento dei voti (440 mila) e 74 seggi. Fatah resta poco sotto: ottiene il 41,43 per cento e 45 seggi. Dunque la maggioranza sembra aver scelto l’organizzazione terroristica che vuole distruggere Israele. Ma è questa la prima motivazione degli elettori?

Secondo gli osservatori, la motivazione principale del voto non era l’eliminazione di Israele, che aveva appena liberato la terra di Gaza, ma la promessa di Hamas, nato dopo il 1967 come costola dei Fratelli Musulmani e come organizzazione «caritatevole», di ripulire il Paese dalla corruzione e migliorare la sicurezza interna. Come ha detto alla Cnn Mustafa Barghouti: «Per lo più hanno votato contro Fatah, contro la corruzione, contro il nepotismo, contro il fallimento del processo di pace e contro la mancanza di leadership». Allora un voto per Hamas era un voto contro Fatah, più che contro Israele.

Non era certo un ente benefico Hamas, neanche all’inizio, ma è riuscito a costruire il consenso istituendo mense, ospedali e servizi per i palestinesi poveri. L’anno successivo alle elezioni, Hamas, che già si era resa responsabile di atti di terrorismo contro civili israeliani, rivela fino in fondo il suo volto di fanatismo dittatoriale e, dopo una breve guerra, caccia Fatah dalla Striscia. A quel punto scattano l’assedio e l’embargo israeliano, che fanno crescere la povertà e l’isolamento. Come ha scritto Robert Satloff, direttore esecutivo del Washington Institute for Near East Policy, ma come dicono in tanti, «i palestinesi di Gaza sono intrappolati tra il martello dell’atrocità di Hamas e l’incudine della giusta punizione Israele». Quel governo israeliano che, in una certa misura, ha contribuito alla crescita del movimento terroristico, proprio per dividere i palestinesi e impedire la nascita di uno Stato vicino a quello di Israele.

Torniamo alle elezioni del 2006. Gli abitanti di Gaza sono responsabili di quel voto? Sì, naturalmente, ma non tutti e neanche la maggioranza. Innanzitutto, non si vota da allora, da 17 anni. Ma anche in quel voto, ha scritto Lara Friedman, presidente della Fondazione per la pace in Medio Oriente, «in nessun singolo distretto di Gaza Hamas ha ottenuto la maggioranza dei voti». Non solo: oggi la metà della popolazione di Gaza è costituita da bambini. Che naturalmente non hanno votato nel 2006 e che hanno visto un solo regime, quello di Hamas. Peraltro, un exit poll di quelle elezioni segnalava che «tre quarti degli elettori palestinesi volevano che Hamas cambiasse la sua posizione su Israele e circa l’80% sosteneva un accordo di pace».

I sondaggi di oggi sono più articolati, ma sono lungi dall’indicare un’opinione consolidata a favore del terrorismo. Scrive Intelligencer: «In un sondaggio del Washington Institute di luglio, una maggioranza del 57 per cento ha indicato un’opinione positiva di Hamas, ma un numero maggiore di persone ha espresso opinioni positive sia su Fatah che su altri gruppi armati. Tuttavia, oltre il 60 per cento ha sostenuto che Hamas ha mantenuto un cessate il fuoco con Israele e il 50 per cento ha detto che Hamas dovrebbe smettere di chiedere la distruzione di Israele e sostenere invece una soluzione a due Stati. Un altro recente sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey Research ha rilevato che il 77 per cento degli abitanti di Gaza vuole nuove elezioni. In un ipotetico voto, Hamas vincerebbe leggermente su Fatah, 34 a 31 per cento, ma il 43 per cento dei palestinesi ritiene che nessuno dei due gruppi meriti di rappresentarli». Infine il 59 per cento degli abitanti di Gaza dichiara di avere «paura» ad esprimere critiche contro Hamas.

Detto questo, potrebbe ribellarsi il popolo della Striscia? Scrive Shepp sull’Intelligencer: «Molti abitanti di Gaza preferirebbero non essere governati da Hamas, sono troppo occupati a lottare per sopravvivere giorno dopo giorno». Non solo. Hamas paga gli stipendi, ha il controllo degli aiuti stranieri (in particolare iraniani, oltre ai soldi del Qatar) e si è rifiutata di costruire infrastrutture, preferendo i razzi, e perpetuando la dipendenza da Israele.

Ma il problema del consenso porta molto lontano. L’abbiamo affrontato anche in Italia, quando lo storico Gianni De Felice, nel 1974, distingue nella biografia di Mussolini il fascismo regime dal fascismo movimento e sostiene che in alcuni anni questo fu accompagnato dal consenso della popolazione. Gli italiani furono responsabili del fascismo, delle violenze squadriste, della dittatura, dell’alleanza con i nazisti, delle leggi razziali? In una certa misura lo furono, ma non si può ovviamente far coincidere il popolo con il regime che lo ha governato in una dittatura.

Lo stesso vale, però, per regimi democratici. Ha scritto su Haaretz Lilach Volach in un j’accuse contro la sinistra internazionale («Andate al diavolo»), che lo stesso razzismo applicato agli ebrei viene applicato agli arabi: «Con la loro visione superficiale di queste specie esotiche in Medio Oriente, i progressisti vedono anche Hamas come Gaza e Gaza come Hamas. Dimostrano così quanto siano razzisti e quanto siano basse le loro aspettative nei confronti degli arabi e a volte anche quanto rimane del buon vecchio antisemitismo». E ancora: «Quegli stessi progressisti si offenderebbero molto se osaste insinuare che Donald Trump era l’America e l’America era Donald Trump. Ma le sfumature sono qualcosa che riserviamo solo alle cose che sono vicine a casa nostra».
Alessandro Trocino