GUARDARE L'ORRORE IN FACCIA, di Lucia Annunziata

DONNE, AMICHE, PORTIAMO E SCRIVIAMO TESTIMONIANZE
Bravissima Lucia Annunziata nel suo intervento. La chiusa del "Gladiatore" (che riporto subito) è perfetta e sfido chiunque a contestarla. Vorrei ricevere tante testimonianze di donne, da dedicare ai bulli/mostri da cui siamo assediate. Le scrivete nei commenti? le raccoglierò tutte. Grazie.

PAROLE DI FUOCO:
<< (...) trasferendo nella distruzione materiale di una donna la stessa eccitazione che si avverte nei board delle aziende, negli ospedali, negli uffici pubblici, nelle scuole, nelle redazioni dei media, nei partiti, in tutti i posti di lavoro, giù giù fino ai nuclei familiari, quando la voce di una donna viene limitata, osteggiata, resa opaca, o irrisa. «Messa al suo posto», insomma.
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"ANDARE AL LAVORO COME IL GLADIATORE"
<<Queste cose che ho scritto sono ovviamente solo mie opinioni, in una materia complessa e delicata in cui è difficile dire «questa è la verità». Potete respingerle e ridicolizzarle. Tuttavia, nell’incertezza, quando qualche giovane donna viene a chiedermi consiglio in genere le dico di andare al lavoro come il Gladiatore Maximus andava al Colosseo. Uscire nell’arena, abbassare l’elmo, e provare a sopravvivere con il gladio in mano. Ogni giorno.>>
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<< C'è sempre un filo di sollievo. «Quartiere degradato», «nessun controllo della famiglia». «Assenteismo scolastico». Ma la parola magica è “camorra”. Dunque non siamo noi. Un filo di sollievo come un filo di pioggia in questa estate caldissima. È quel che basta per mettere tutto a distanza, anche con cuore dolente. Anzi a maggior ragione se il cuore è dolente.

<< Che dire? È una buona cosa, sì, che Giorgia Meloni vada a Caivano, come gli ha chiesto il buon Padre, l’eroico Don Patriciello. E sarebbe una cosa ancora più buona se, insieme alla premier, a Caivano e a Palermo ci andasse anche Elly Schlein: la presidente del Consiglio e la leader dell’opposizione, fianco a fianco, almeno per guardare negli occhi l’orrore. Magari con il Papa, come ha proposto lo stesso Don Patriciello. Le due donne più importanti della politica italiana.

<< Buona cosa, sì, a patto di sapere che c’è il rischio altissimo di ridurre tutto questo dolore all’ennesima bandierina di una buona mossa simbolica, a beneficio più di chi la fa che delle vittime.

<< Ogni volta che si parla di misure a favore delle donne, tremo. Per paura del gesto consolatorio, per paura dell’autoassoluzione ottenuta con un bel corteo, e, ancora di più, per paura di veder le donne diventare un dossier – tipo “Stati Generali della natività” o “Piano del governo sulla natalità”. Come se avere figli fosse – solo – questione di riduzione delle tasse e strutture sociali. Come se gli stupri fossero – solo – questione di mancanza di scolarizzazione e degrado urbano.

<< Certo, ci fosse di più degli uni (incentivi fiscali e strutturali) e delle altre (educazione e integrazione delle periferie) non sarebbe sbagliato. Ma la domanda vera, che mai irrompe con tutta forza nel dibattito pubblico, è la seguente: dove comincia e dove finisce il girone infernale che produce la cultura che continua a rendere le donne cittadine “minori” ed esseri umani di serie B? Carne, oggetto di disprezzo, figure intercambiabili, ricattabili? Le sue radici sono solo di natura sessuale? E la risposta non è quella del ministro degli Interni, secondo cui il degrado è mancanza di cultura.

<< Qui mi fermo, perché avete indovinato dove voglio arrivare: quando si arriva al ricatto e all’assalto sessuale si è fatta già una strada molto lunga, che inizia ai vertici della società. Perché il veleno è sempre nella testa del serpente. Chi alla fine porta in un capannone delle ragazzine, e ne festeggia la distruzione fisica (i «cento cani su una sola gatta») come un successo, sta in realtà trasferendo nella distruzione materiale di una donna la stessa eccitazione che si avverte nei board delle aziende, negli ospedali, negli uffici pubblici, nelle scuole, nelle redazioni dei media, nei partiti, in tutti i posti di lavoro, giù giù fino ai nuclei familiari, quando la voce di una donna viene limitata, osteggiata, resa opaca, o irrisa. «Messa al suo posto», insomma.

<< Quello che voglio dire è che a monte di ogni stupro «nei quartieri degradati» c’è un processo nei livelli alti della società, che opera per continuare a tenere le donne in serie B. Un processo di svilimento intellettuale, che è molto più pulito, non lascia sangue e squarci, ma mantiene viva, dalla cima della piramide in giù, la fiamma della disistima nei confronti delle donne. Alle quali, diciamolo, oggi nella nostra società è permesso quasi tutto. Meno che essere “ascoltate” in quanto autorevoli. Meno che “pesare” nella definizione dello spazio pubblico. Basta guardarsi intorno, e valutare la differenza di toni e parole con cui ci si esprime in pubblico (e privato) su donne e uomini. E Meloni e Schlein, come altre prima di loro, lo sanno sulla loro pelle.

<< L’autorevolezza per le donne, anche nell’avanzato Occidente, è una chimera. Ma l’Italia è uno dei fanalini di coda. Guardate ai salari e ai vertici delle istituzioni, e troverete altre prove di quel che sto dicendo. Certo è meglio di prima. Ma quanto meglio di prima, e a quando risale questo prima? A nostra nonna, a nostra madre, ai boomer (confesso di esserne parte)?

<< Non sto parlando di potere, tanto per chiarire: so che il tema “potere” è considerato tabù in una parte del mondo delle donne. Parlo di autorevolezza, cioè di rispetto intellettuale. Che, nei confronti delle donne, manca nel nostro Paese esattamente come il rispetto fisico. E anche il rispetto intellettuale – che si ottiene nelle scuole, nelle famiglie, nelle istituzioni, nelle chiese, cioè in tutti quei luoghi dove pure chi vi accede può considerarsi un fortunato – non è scontato. È promesso sulla carta, ma raramente lo si ottiene. Serve magari una vita a ottenerlo, e pochi istanti a perderlo. Questa violenza intellettuale – che comporta la distruzione di giovani donne di cui non si riconosce “la voce”, “il talento”, cioè l’identità, per contribuire alla collettività, per sviluppare le proprie ambizioni – non è meno devastante dell’assalto fisico.

<< Fatemi aggiungere, a questo punto, un esempio che può essere controverso: non avere figli per molte donne (al netto di coloro che in pieno diritto scelgono di non averne), è un cocktail di paure. Paura di perdere il lavoro già così precario, paura di regredire lontano dalle proprie ambizioni, e infine paura che il futuro papà si dilegui come ben sanno in molte. Quando si parla di natalità, perché non si parla degli uomini, della ossessiva paura di impegnarsi da parte di una nazione di Peter Pan? Si parla molto di “educare” i giovani maschi a non stuprare. E perché non si parla di “educarli” tutti i giorni, in tutti luoghi, a saper diventare padri? Specie per chi pensa alla famiglia tradizionale come unico rifugio.

<< L’Italia, dunque, è il paese con il record di violenze nei confronti delle donne perché, in ogni aggregato sociale e in ogni strato sociale, non ha mai creduto né soprattutto praticato il rispetto profondo nei confronti delle donne. Con buona pace delle grandi lodi che ci facciamo sulla nostra cultura e la nostra Storia secolare.

<< Troppe giovani sono sole, si immettono nella vita e nel mondo del lavoro senza guide, senza figure che le aiutino, e la sfiducia in se stesse in cui molto spesso cadono è un’altra delle tante distruzioni di una parte del capitale umano della nostra nazione.

<< PS: Queste cose che ho scritto sono ovviamente solo mie opinioni, in una materia complessa e delicata in cui è difficile dire «questa è la verità». Potete respingerle e ridicolizzarle. Tuttavia, nell’incertezza, quando qualche giovane donna viene a chiedermi consiglio in genere le dico di andare al lavoro come il Gladiatore Maximus andava al Colosseo. Uscire nell’arena, abbassare l’elmo, e provare a sopravvivere con il gladio in mano. Ogni giorno.>>
Lucia Annunziata - La Stampa - 29 agosto 2023