Stanno circolando per la
rete delle mie frasi su Berlusconi che sono state scritte, anzi
pronunciate nel 2018, quando il cavaliere era vivo. Non so chi le abbia
tirate fuori oggi, non io. Ho denunciato a suo tempo alle Poste l’abuso
ma mi è stato risposto che l’autore è introvabile.
Corriere della Sera
Si tratta oltretutto di un testo manipolato. Non ho mai detto che Berlusconi sia peggio del fascismo, bensì che il pericolo del berlusconismo è più sottile, più sotterraneo e più difficilmente riconoscibile del fascismo.
Non rinnego nell’insieme il mio giudizio ma sinceramente se fosse dipeso da me non sarei intervenuta nel giorno della sua morte. I morti si rispettano, anche col silenzio.
Detto questo, visto che sono stata tirata in ballo, vorrei chiarire il mio pensiero: ritengo Berlusconi un genio delle strategie di mercato. E questo può essere un bene per rilanciare i ritmi di un movimento di merci e di denaro, ma se il talento si applica solo alla questione economica , si perdono completamente di vista le funzioni di un pensiero democratico.
Certamente Berlusconi da solo non può essere considerato responsabile di una caduta del senso etico comunitario, ma il grande industriale accompagnato dalle sue tre televisioni che tanto spazio hanno preso nell’immaginazione degli italiani, direi proprio di sì. L’idea che tutto si possa comprare e vendere, dalle licenze televisive ai politici, dalle idee ai corpi delle donne, è stata diffusa proprio dalle tre televisioni che il cavaliere ha usato per entrare nelle coscienze degli italiani. Non so se l’abbia fatto con astuzia cinica o con convinzione. È probabile che nel suo narcisismo abbia veramente creduto di essere un modello da seguire: bravo negli affari, bravo nel sedurre, bravo nell’accumulare denaro, bravo nello schivare le regole della convivenza, perché non costituire un modello da suggerire ai giovani? Ed è probabile che questa enorme fiducia in se stesso, nata e fiorita in un mondo frammentato e insicuro abbia costituito la base del suo successo. Insomma potremmo dire che il cavaliere ha impersonato la parte più viscerale, più teatrale, più arcaica dell’italiano medio. Ma l’ha fatto con gioviale estrosità e un volto cordiale e rivoltoso che l’ha trasformato quasi in un ribelle, un eroe. Molto simile al mitico Totò o ad Alberto Sordi nella rappresentazione di personaggi un poco gradassi, un poco impauriti, presi da manie di grandezza, ma anche da torsioni di servilismo nei riguardi dei grandi vincitori , a prescindere da ogni regola etica. Un uomo dagli appetiti granguignoleschi che certamente ha affascinato gli arresi e i pessimisti.
C’è chi dice che ha amato le donne, addirittura si suggerisce che le abbia amate troppo. E questo fa capire quanto sia ancora diffusa l’idea che per l’uomo l’amore consista in seduzione, conquista, possesso, e consumo erotico. Il maschio vero, secondo questa leggenda, è quello che abbaglia tante donne, senza cedere mai al sentimento profondo. Come il Don Giovanni di Mozart, il nostro libertino si accompagnava, non a uno ma a tanti Leporello che tenevano orgogliosamente il conto delle sue conquiste: «In Italia seicentoquaranta/ in Alemagna duecento e trentuno /, cento in Francia, in Turchia novantuna/... ma in Spagna son già mille tre...».
C’è però una differenza: Don Giovanni non pagava le donne. Le seduceva, perché era bello, giovane, ardimentoso, e superbo. Non era amore neanche il suo, semmai collezionismo, vanità, orgoglio del bravo cacciatore che si appende alla vita le pelli degli animali trafitti. Il cavaliere invece pagava, e anche generosamente, come generosamente pagavano le aziende che facevano pubblicità sulle sue televisioni commerciali.
Questo tipo di giovialità strategica è capace di sedurre chi insegue un sogno antico di vitalità arcana e vorace. Il sogno di un mondo fatto di libertinaggio più che di libertà, un futuro fatto di facili ricchezze ottenute con abilità da grande mago, senza nessuna preoccupazione per le regole (le tasse come pizzo, la magistratura costituita da stupidi cani da guardia, i giornali inutili e bugiardi), senza nessun ritegno nell’acciuffare le gioie e i privilegi della ricchezza e del successo.