Catanzaro, il Sud eterno di Pasolini e Amelio che sogna di rinascere col calcio, di Mauro Francesco Minervino

Da "Il Punto" Rassegna Stampa di Corriere.it, impressionante disamina sulla città di Catanzaro. 14 Maggio 2023.

"Minimi Tropici.
"Catanzaro, capoluogo della Calabria e città allo stesso tempo simbolica e paradossale di un Sud eterno, è di nuovo in festa per le imprese della sua squadra di calcio, che negli anni ‘70 la fece finalmente spuntare sulle carte geografiche. Mauro Francesco Minervino, antropologo che la conosce bene, la racconta attraverso storie che spaziano da un improbabile attaccante romeno ai ricordi vividi e terribili di Pasolini e Amelio. Passando per una celebre scena di Sordi" (Luca Angelini).
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<<Era uno degli ultimi giorni di maggio del 2022. La città capoluogo della Calabria sembrava svuotata. La luce tagliente dello Ionio rendeva il paesaggio ancora più irreale. Le strade strette e tortuose di Catanzaro, quel giorno erano silenziose più del solito. Non era un giorno qualsiasi. Il Catanzaro si stava giocando l’accesso alla finale dei playoff di Serie C, in trasferta sul campo del Padova. Era l’ultima ricorsa di un campionato difficile, ma in risalita. Il giorno di un sogno, non solo calcistico, che alla città dei tre colli mancava da troppo tempo. I giallorossi quel giorno caddero allo stadio Euganeo, dopo il promettente pareggio dell’andata. Padova in finale, Catanzaro out. Sogno infranto, miseramente. Ancora una volta. Succedeva ormai da troppi anni a Catanzaro. Nel calcio come nella vita a un certo punto si presentano soglie e intoppi che paiono invalicabili. E invece.

<<Quest’anno la musica è cambiata, da subito: emozioni che per una città intera sono passate dall’inferno al paradiso. Tutto è filato liscio. Questa volta a Catanzaro si va al massimo, in partita e fuori dal campo. Le aquile giallorosse — l’araldica torna a contare — hanno ottenuto con larghissimo anticipo la matematica promozione in Serie B. Risultati e numeri strabilianti, da primati europei. Così la squadra calabrese allenata dal tecnico Vincenzo Vivarini ritorna trionfalmente nel campionato cadetto a distanza di 17 anni, l’ultima stagione vissuta in B dal Catanzaro. Con la vittoria del campionato già acquisita, i calabresi hanno continuato a vincere, senza mai frenare, mettendo in bacheca record su record: 96 punti, 102 gol.

<<Tutto al massimo. Armonia nel gruppo, dai titolari alla panchina. Ben 15 gol segnati dai subentranti. Sugli spalti tifoseria rumorosa, entusiasta ma pacifica. Mai un provvedimento contrario della giustizia sportiva. Nove mesi dopo la catastrofe di Padova in quel giorno di maggio del 2022 il Catanzaro ha chiuso con largo anticipo e in gloria l’obiettivo promozione della B, «andando al Massimo» (e qui più di Vasco ritorna il mito di Palanca). Tutto, dopo anni di ombre e stenti, sembra riallinearsi al meglio, come ai tempi del Catanzaro di Ceravolo, il presidente della prima serie A, un mito di dirigente del pallone vecchia maniera.

<<Una rinascita calcistica dalle ceneri, un’apoteosi vera e propria, che ha effetti contagiosi anche sull’idea di città, sul sentimento civile che rilancia un’intera comunità periferica, a ri-partire dal pallone. E adesso si sogna oltre, in grande. Quello del Catanzaro non è infatti solo il trionfo della provincia calcistica del Sud, rappresentata da una squadra-miracolo senza campioni e grandi nomi, in cui tutti hanno dato il massimo. Rappresenta qualcosa in più. A Catanzaro, si dice, il calcio e il tifo per la squadra cittadina sono una religione, una fede, un partito. Un partito unitario. Che vale per tutti, indipendentemente dalla classe sociale, dal livello di cultura, dagli orientamenti politici.

<<Catanzaro è una città che mantiene gelosamente in vita gerarchie secolari. Un resistente midollo di congreghe, di incappucciati, vetuste consorterie bizantine, curie e collegi religiosi, salotti e circoli nobiliari, professioni notarili, unioni di vecchi socialisti ottocenteschi e legulei. Un mosaico di frazioni sociali, tutte con usi, gerghi e costumi impermeabili alla fluidità del contemporaneo e alla laicità spinta dei nostri tempi. Tessere di un blocco sociale che insieme formano lo zoccolo duro di un’identità sentita nella sua separatezza come un’esclusiva, caratterizzante, come in pochi altre città del Sud. Ed forse per questo che qui lo stadio e la squadra cittadina sono da sempre un porto franco. Un’arena che a Catanzaro accoglie e rappresenta il disegno delle diverse fisionomie, spianando così i forti dislivelli politici, culturali, sociali: è l’illusione di un collante egualitario non da poco. Non a caso la squadra è sempre stata un traguardo di status molto ambito di presidenti prestati al calcio dalla cerchia di imprenditoria e professioni che fanno capo al ristrettissimo gotha delle famiglie cittadine che contano. Oggi rappresentate da Floriano Noto, imprenditore di successo nella grande distribuzione, che in pochi anni da presidente ha messo in piedi il miracolo di questo Catanzaro.

<<L’espressività ruzzante e il colore acceso del tifo cittadino sono sempre stati una leggenda del fenomeno calcistico di Catanzaro. La squadra e i suoi colori nel sentimento popolare identificano la città dei tre colli come le armi da parata in un torneo cavalleresco. Al Ceravolo — il vecchio stadio cittadino in cima a una delle colline ventose della città dei due mari, lo stesso rettangolo di gioco dove la squadra di casa vinse per 1-0 un match interno contro la Juve il 30 gennaio 1972, risultato storico firmato da un goal del pedatore-ignoto Angelo Mammì — ogni partita giocata corrisponde quasi alla celebrazione catartica di un rito collettivo, una sorta di transfert cittadino di massa. Famosi i cori e le scenografie della curva, con gli sfottò emessi strettamente in dialetto ionico, come pure gli sdegnati getti di damigiane di vino di Cirò — debitamente scolate dai tifosi più accalorati — che piovono dagli spalti a suggello di risultati deludenti o arbitraggi controversi. Ma mai una violenza, cori razzisti o invasioni di campo. Le emozioni condivise sul campo del Ceravolo hanno instaurato così un viscerale legame sentimentale tra individuo e comunità, quasi una liturgia sacra, che adesso si rinnova in solennità.

<<A Catanzaro l’ostensione dell’icona di Massimo Palanca vale ancora oggi quanto quella di Maradona a Napoli. Il calcio e i suoi simboli a Catanzaro, dice qualcuno per strada, sono come la messa — anche se da queste parti sarebbe da scomodare forse la più varia categoria del totemismo consacrato a Eupalla. Nel sacrario dei giallorossi calabresi c’è infatti posto anche per gli eroi calcistici al contrario. Tra i miti-tabù posti agli antipodi del pantheon del football locale, spicca la figura — indimenticata — di uno dei primi, e allora rari, giocatori stranieri arruolati dalla squadra. Una vera leggenda per il Catanzaro, non solo sportiva. Eravamo ancora nell’era della protostoria calcistica della legione straniera dei calciatori, molto prima dell’Europa dell’allargamento e dei diritti televisivi. Solo dopo sarebbe arrivato il diluvio dei supercampioni strapagati. Uno straniero per squadra. Un solo nome esotico ogni undici pedatori nostrani nella rosa delle squadre che giocavano la serie A. Alla Juve Platini, al Catanzaro toccò un certo Nastase, primo calciatore romeno a sbarcare in Italia, omonimo del grande campione di tennis. Viorel (Fiorello) Nastase, dalla Romania dei tempi di Ceaucescu arrivò a Catanzaro con furore — dei tifosi giallorossi, però. Paracadutato a Catanzaro, fece trenta partite in tre anni dall’81 all’84. A Catanzaro divenne presto per tutti, affettuosamente, u’ Zingaru, lo zingaro. Pare davvero che alla voce nazionalità il passaporto, dopo aver chiesto asilo politico al governo svizzero, lo desse per «apolide», e pare fosse fuggito veramente dalla Romania di Ceausescu, inseguito per vendetta dalla polizia segreta per uno sgarro fatto ai tifosi terribili della Steaua.

<<Con Nastase nella serie A delle provinciali di quegli anni atterrarono, per dire, altre firme esotiche. Pedatori sgangherati come l’ascolano François Zahoui (attaccante ivoriano pagato da Costantino Rozzi, si dice, con mute di gioco e attrezzature tecniche); gli austriaci (al Cesena) e Hans-Dieter Mirnegg (terzinaccio del Como); lo scozzese sdentato Joe Jordan, detto «lo squalo», messo al centro dell’attacco di un Milan ancora plebeo e preberlusca; l’improbabile ala peruviana di Avellino e Udinese, Geronimo Barbadillo.

<<Giocò tre anni scarsi Nastase nel Catanzaro che in quegli anni se la batteva in serie A sfoggiando sulle maglie giallorosse la sponsorizzazione del marchio di pentole a pressione Cook-o-Matic. Doveva fare il botto in giallorosso. Era un attaccante forte, annunciato ai tifosi come il bomber attesissimo. Nastase era di Bucarest, provenienza Steaua. Prima di essere ingaggiato dal Catanzaro aveva giocato in Germania col Monaco 1860, vantando non si sa come uno score di 14 gol nel campionato tedesco del 1980. Presidente Adriano Merlo, rimasto orfano del mitico Palanca, ingolosito anche da un generoso ingaggio, fu preso per 400 milioni di allora. In realtà per quali vie fosse giunto in Calabria un attaccante romeno in quei tenebrosi anni ’80, resta uno dei misteri gloriosi del calcio di quei tempi. «Scommetto che farò dimenticare Palanca, e vi prometto gol e spettacolo», dichiarò spericolatamente Nastase appena giunto nella città dei due mari. Dopo qualche indolente apparizione finì presto in panca sorpassato da Edy Bivi.

<<Non era però un cattivo giocatore Nastase, tutt’altro. Talento pedatorio ne aveva, eccome. Lo fregava il carattere, quel suo essere «zingaro» pure nel calcio, e scansafatiche: «Come tecnica e classe niente da dire, il migliore di tutti: ma per il resto ve lo raccomando», aveva detto di lui prima che sbarcasse in Calabria, Morsi Wohler, suo capitano in Germania. In carriera al Catanzaro fece la sua comparsa solo in alcuni spezzoni di partite. Un fenomeno al contrario. Però alle sue rare apparizioni sul ventosissimo rettangolo di gioco di Catanzaro, i tifosi della curva che gli volevano bene, quando toccava palla, speranzosi e in attesa che si compisse il miracolo di un suo gol, ogni volta lo schiamazzavano entusiasti vida u’ Zingaru, u’ Zingaru!.

<<Con le sue origini rom, era davvero un personaggio notevole, una vera leggenda, non solo sportiva. Nastase a Catanzaro girava con grossi macchinoni e fuoriserie sgangherate, avvolto in cappottoni di pelliccia. Era il terrore dei negozianti del corso, arcinoto come cattivo pagatore. Era sempre circondato da uno stuolo di vistosissime mondane a cui pare facesse personalmente da pappone, e che, si dice ancora, avesse personalmente selezionato e letteralmente «importato» — come non si sa, visti i rigori alle frontiere di quei tempi pre-Schengen — dall’Est comunista. Abbagliato dal denaro e dall’ebbrezza libertina, la notte scappava dai ritiri per spassarsela e spesso si presentava agli allenamenti alticcio. Di lui qualche volta gli allenatori perdevano le tracce per settimane. «Ricordo i tempi della Serie A a Catanzaro. Arrivammo settimi alla fine del campionato del 1982. Mi avevano avvertito che il romeno Nastase era solito passare le nottate da ubriaco in discoteca. Una sera andai a controllare e lo trovai sotto il tavolo, sfatto. Mi offrì da bere, scoppiò un casino indicibile e finì a cazzotti» è il ricordo indelebile di Bruno Pace che come allenatore ebbe il romeno in squadra.

<<Gli fu fatale anche un lungo infortunio di gioco. Fece tre gol in tutto; uno però storico, una bordata da lontano che fece secco il portiere; un altro invece siglato in mezzo a un mischione con tocco di mano ai danni del Como. Portò il Catanzaro dalla A alla C1. Ma Nastase rimane a modo suo un bidone storico, un personaggio carismatico e indimenticabile. Nel 2006 era riapparso alle cronache calcistiche come direttore tecnico di un club romeno di terza divisione, il Callatis. In una recente intervista ha minacciato, a quasi settant’anni, un ritorno da giocatore sui campi di calcio, in Argentina. A Catanzaro i tifosi lo aspettano ancora, con una certa nostalgia.

<<In questi giorni la città imbandierata a festa dietro la squadra in trionfo ritrova il suo orgoglio di provinciale di lusso. Il Museo del Catanzaro Calcio mette in mostra foto e memorabilia della squadra. L’allenatore e i calciatori che hanno guadagnato al Catanzaro la vittoria per la B sono diventati tutti nel frattempo, da onesti pedatori e carneadi che erano, semi-divinità di una religione politeistica cittadina, di cui tutti pronunciano i nomi, mentre le bancarelle per strada traboccano di bandiere, sciarpe, maglie e gadget giallorossi. L’epica del calcio catanzarese vanta, oltre al celebratissimo bomber-tascabile dal micidiale calcio piazzato e dai riflessi a molla, Massimo Palanca — Massimée, Massimée/Pari ‘na molla, Pari ‘na molla, il celebre coro della curva —, anche altri nomi illustri. Come Bui, Petrini, Spelta, Santarini, Banelli, Improta, Bivi; fino al talento casalingo Massimo Mauro. Per finire con l’acme dell’unico grande ex che il Catanzaro ha già portato da par suo ai trionfi internazionali. Beninteso applicandovi la proprietà transitiva. Accade ogni volta che a Catanzaro si parla di Claudio Ranieri, gloria giallorossa ab aeterno. Come quando a Leicester sir Claudio ha mostrato al mondo la sciarpa della curva giallorossa. Quel giorno i catanzaresi a Leicester erano in centinaia a celebrare in terra britannica la loro leggenda del calcio mondiale, l’uomo del miracolo del Leicester campione d’Inghilterra che nel giorno della consacrazione in Premier League ha ricordato proprio il suo Catanzaro. Adesso che a Catanzaro si sogna in grande si pensa a Ranieri per la serie A, e al prossimo miracolo del Catanzaro, come al nuovo Leicester di sir Claudio.

<<Il calcio può diventare, si sa, un potente propulsore simbolico. E così a Catanzaro si rispolvera l’orgoglio sopito e si rimette a profitto la panoplia delle memorie. Anche il resto della città, sull’onda dell’entusiasmo pedatorio, rimette a lucido le sue glorie. Ci si ricorda, in un florilegio di nomi illustri, che la «piccola capitale delle Calabrie» non è solo la città dei ponti e del vento, ma anche il primo atelier ispirativo delle icone che hanno reso famoso nel mondo dell’arte contemporanea un artefice della pop art come Mimmo Rotella; che il primo Paparazzo della storia era un curioso albergatore locale di nome Coriolano che nel 1897 ospitò qui lo scrittore inglese di passaggio George Gissing, lo stesso che definì Catanzaro «la più civile e progressista delle città meridionali» che aveva visitato; che qui nacque e mosse i suoi primi passi lo scienziato premio Nobel Renato Dulbecco; che Luigi Settembrini insegnò al prestigioso Liceo-Ginnasio Galluppi, fucina di talenti e personalità culturali da Corrado Alvaro al regista Gianni Amelio, dal filosofo Giacomo Marramao allo storico Piero Bevilacqua.

<<Allo stesso modo, l’ebbrezza calcistica che in questo momento gonfia di gol insieme alle porte del Ceravolo anche l’ego cittadino, stordisce e falsa il senso della realtà e le proporzioni, annacqua critica e autocritica. Ci si dimentica intanto del suo variegato e inestricabile disordine edilizio, del traffico caotico e ipersensibile alla regolarità e all’intensità degli spostamenti dei tifosi che si verificano il mercoledì sera, il sabato o la domenica pomeriggio con tutte le strade intasate per andare a tornare dallo stadio cittadino. Ci si dimentica che Catanzaro è anche città nota per la vita pubblica corrotta e paralizzata dall’invadenza di massoneria e familismo — un porto delle nebbie su cui tenta da anni di gettare luce con le sue inchieste sulla «borghesia mafiosa» il procuratore Gratteri; quella stessa torbida zona grigia su cui cala la definizione tombale che si legge nel libro Stanza numero 30 di Ilda Boccassini: «Catanzaro, uno spazio vuoto dove tutto è mafia».

<<La realtà di Catanzaro nasconde così i geroglifici sociali di un «ibrido dai contorni mai definiti, che separa, lega e congiunge i due campi dei padroni e dei servi». Consuetudini che consolidano con il riottoso e invincibile provincialismo, quel senso di autosufficienza da «centro del mondo», quella cupa indolenza che già fece dire a Pasolini, di passaggio in città nel 1964, intervistato dal futuro sindaco catanzarese Marcello Furriolo: «Sono stato più volte a Catanzaro e ho avuto sempre la stessa sensazione. Catanzaro, come tutte le città burocratiche, è una città un po’ triste e deprimente, con un aspetto caotico e confusionario, ma sempre grigio ed amorfo, in cui i problemi, le ansie, le attività nascono solo dalle preoccupazioni individuali egoistiche di una grigia classe impiegatizia che purtroppo per voi costituisce il nervo di questa enorme impalcatura burocratica».

<<In una pagina di Politeama (nome del più vecchio cinema cittadino), il bel romanzo che Gianni Amelio ha dedicato alla sua città di formazione, si legge invece questo appunto: «Film fondamentale visto in quegli anni al Politeama: Il boom di De Sica, con Alberto Sordi, del ’63. Lui interpreta un imprenditore che a un passo dal fallimento medita di vendersi un occhio per mantenere l’altissimo tenore di vita di sua moglie, Gianna Maria Canale. In sala, al buio, ridiamo moltissimo fino a quando Sordi, disperato, non le propone di andare ad abitare a Catanzaro, dove la vita costa meno. Lei inorridisce. Fa una smorfia di disgusto. Si rifiuta. Nel cinema cala il gelo. In silenzio, senza che nessuno si dica nulla, ci chiediamo se in fondo non abbia ragione. Se chi ha scritto il film, non conosca a fondo la nostra realtà».

<<Ritornando col pensiero alla sua città, Amelio ricorda anche un passaggio inedito della sua cinematografia; un documentario, legato proprio alla squadra di calcio giallorossa: «Nel 1967 mi occupai del Catanzaro calcio. In una provincia che contava 35.000 emigrati per lavoro, solo i calciatori di allora venivano tutti dal nord. Lo intitolai Undici immigrati». Sulla realtà di Catanzaro il suo ricordo resta oggi molto affilato, doloroso: «L’omosessualità vissuta come una colpa in anni cupi. È stato difficile affrancarsi da un’ipocrisia diffusa. Catanzaro è il sud, e si crede veramente in alcuni valori. Il problema è che quei valori sono sbagliati».

<<Ma Catanzaro sembra, così come gli italiani, dare il meglio di sé quando nel calcio sfodera il suo spirito di squadra. Non ci sarebbe da meravigliarsi se la sua nuova ascesa calcistica, con la fragorosa vittoria del campionato di C, cancellasse gli ultimi anni di smarrimento e di profonda crisi vissuti della città. Come tutti i fedeli del mondo, anche i catanzaresi, tifosissimi, hanno una memoria impressionabile e molto fungibile. Adesso è anche vero che da qualche mese il governo della città è cambiato. Catanzaro è passata dai logorati eredi locali di Berlusconi ad un centrosinistra civico e innovatore. Con il sindaco Fiorita si prova a respirare un’aria nuova. E in questi giorni egli stesso dichiara: «La città è ripartita. Ci sono segnali di vitalità, riacquisizione del senso di appartenenza, bagliori di una tenuta del tessuto economico. Tanti i segnali positivi, ai quali aggiungerei — e questo sicuramente non è merito nostro, dell’amministrazione — la meravigliosa promozione del Catanzaro in serie B che sta accrescendo la nostra immagine e muovendo un significativo indotto economico».

<<Un successo che adesso può anche dare alla testa. Come sempre, resta da chiedersi sul calcio (come fa Marc Augé in uno suo illuminante saggio sull’antropologia di questo sport universale): «Oppio o stimolante? Entrambi forse, nello stesso modo in cui si può osservare che i movimenti religiosi possono contribuire nel corso della storia, simultaneamente o in successione, all’oppressione o alla liberazione di coloro che vi aderiscono». Vale pure per Catanzaro, città in risalita, e per la sua squadra dei miracoli. Staremo a vedere. Magari l’anno prossimo, da neopromossa in A, e guidata dal vecchio condottiero giallorosso diventato baronetto, sir Claudio Ranieri.>>
Mauro Francesco Minervino