Perché Friburgo non è un paradiso, ma un posto meravigliosamente possibile, di Gianluca Mercuri

A Friburgo ci sono solo due pericoli: uno è essere investiti. Dalle bici però, non dalle macchine. Qui le macchine sono così inutili che ormai non ci sarebbe nemmeno bisogno di scoraggiarne l’uso, cosa che comunque avviene puntualmente, con divieti ovunque e parcheggi carissimi. Bici ce ne sono così tante, e i ciclisti sono così energici e disinvolti — oltre che (sorpresa) poco tedescamente inclini a non rispettare i loro, di divieti — che, effettivamente, prima di attraversare la strada è meglio dare un’occhiata a 360 gradi, anche senza macchine.

Ma qui nasce e finisce, in un istante, l’unico fremito di apprensione possibile. L’altro pericolo, infatti, è il languore delle cose belle e perdute: quando te ne vai, hai la sensazione di non aver visto il possibile, di non aver vissuto tutte le sensazioni, di non aver provato tutte le birre e tutti i posti dove è bello bersele al sole in mezzo a gente inevitabilmente ottimista (anche le analcoliche sono buonissime). Quando te ne devi andare, lo fai a malincuore. Vorresti portarti un po’ di Friburgo nell’inquinatissima pianura padana. O — fosse possibile — restarci, a Friburgo.

Perché stiamo parlando della città in ogni senso più solare, pittoresca e vivibile della Germania, e quindi necessariamente in buona posizione nelle relative classifiche d’Europa e del mondo. Friburgo in Brisgovia (Freiburg im Breisgau), nel Land del Baden-Württemberg, da non confondere con la Friburgo della Sassonia (Freiberg, con la «e»: peraltro bellissima anche lei), ha da poco festeggiato i 900 anni di vita (fu fondata nel 1120) e ha celebrato la ricorrenza con il giusto compiacimento tridimensionale di un posto che può dirsi felice del suo passato ma soprattutto del futuro, e si gode questa sensazione con piena consapevolezza nel (e del) presente.

Vediamo in sintesi perché Friburgo è speciale:

  Perché su 230 mila abitanti, il 10% sono studenti: la sua università, la Albert-Ludwig, è tra le più antiche della Germania — anche se quando fu fondata, Friburgo era austriaca — e tuttora tra le più prestigiose. Negli anni ‘30 — giusto per dire il livello — ebbe come rettore Martin Heidegger (ma questa, come tutte quelle di quegli anni, è una pagina oscura).
   Perché è letteralmente incastonata nel verde della Foresta Nera, visibile — e facilmente raggiungibile — da qualunque punto di una città situata ai suoi piedi. I bambini la frequentano da quando nascono praticamente ogni giorno, ce li portano le famiglie e le scuole, ogni asilo ha la sua capanna nella Foresta. Che è piena di giardini comunitari e orti. E naturalmente di sentieri alla portata di qualsiasi gamba.
   Perché è davvero il paradiso dei ciclisti, con un numero di bici pari al doppio delle auto e 400 chilometri di piste. Di cui 10 sono una vera e propria autostrada percorsa ogni giorno da 15 mila persone pedalanti.
   Perché è verde in tutto. Se costruisce un pezzo di ferrovia in più vicino al fiume Dreisam, compensa l’impatto ambientale della nuova infrastruttura con un progetto di rinaturalizzazione: fa esondare il fiume sul suo lato destro, ne raddoppia il letto e crea un nuovo paradiso per uccelli e insetti. È successo tre anni fa.
   Perché è verde davvero in tutto. Guardarla dall’alto dà l’idea della distesa di pannelli solari. Con un quartiere che da questo punto di vista rappresenta un’avanguardia mondiale (ci torneremo).
   Perché è verde, verdissimo perfino il suo grattacielo di 16 piani in Bugginger Strasse. Ok, a vederlo dà fuori non pare nulla de che, non ha certo il glamour (per miliardari) del Bosco verticale. Poi però scopri che è il primo grattacielo al mondo a energia passiva. Vuol dire che il calore viene prodotto dagli elettrodomestici interni, dalla temperatura del corpo delle persone che ci abitano e dalle lampadine. Sistemi di riscaldamento convenzionali: zero.

Questa vocazione nasce da lontano. Anche Friburgo durante la guerra fu distrutta al 70-80%. Anche Friburgo nel dopoguerra era dunque una tabula rasa su cui gli urbanisti poterono sbizzarrirsi. Nella maggior parte delle città tedesche, però, lo fecero con una visione auto-centrica: l’industria automobilistica sarebbe stata il cuore della rinascita del Paese e le città dovevano essere ricostruite per ospitare agevolmente migliaia di auto. Friburgo, invece, fin dall’inizio, dopo aver rimosso le macerie, rifece il centro come prima ma allargò l’arteria principale e quelle circostanti in modo da dare più spazio ai trasporti pubblici, alle aree pedonali e alle piste ciclabili.

Questa vocazione fu riconfermata con il grande piano di trasporto urbano del 1969 — quando il resto della Germania si concentrava su autostrade e parcheggi. E soprattutto con la grande — ma pacifica — rivolta del 1975.

Cosa successe nel 1975? Era febbraio, e c’era un progetto per costruire una centrale nucleare nella vicina Wyhl, sul Reno. Per impedirlo, migliaia di manifestanti si accamparono nel cuore della Foresta Nera, a 30 chilometri da Friburgo. C’erano i classici attivisti di sinistra dell’epoca ma non erano soli, il movimento era davvero interclassista ed eterogeneo: architetti, contadini, viticoltori anche dalla vicina Alsazia, insegnanti, musicisti e perfino poliziotti. Stettero lì nove mesi e alla fine vinsero: niente centrale. È chiaro che da allora Friburgo è diventata più che mai la capitale dell’attivismo verde costruttivo, costruttivo in termini figurati s’intende, pochissimo cemento e moltissime idee.

Non può sorprendere dunque che sia stata la prima città tedesca a eleggere un sindaco verde: si chiamava Dieter Salomon, era il 2004. Che nel 2012 sia stata dichiarata la città più sostenibile della Germania. E che nel 2017 abbia traslocato il municipio dalla vecchia sede medievale alla nuova: il primo edificio pubblico al mondo capace di produrre più energia di quanta ne consumi.

E qui arriviamo al suo quartiere iper-verde. Distanza dal centro: 10 minuti in tram. Si chiama Vauban, da Sébastien Le Prestre marchese di Vauban, un militare francese del ‘600, considerato uno dei più grandi ingegneri militari di tutti i tempi.

Perché un nome francese? Perché fino alla riunificazione tedesca, l’area ospitava una gigantesca caserma francese. È bellissimo vedere con i propri occhi come questo retaggio dell’occupazione postbellica sia diventato — appena la Germania ha potuto cucirsi la sua gigantesca cicatrice — il simbolo di tutte le virtù di un Paese che è ora di cominciare a immaginare, considerare e constatare per quello che è: uno dei luoghi più civili e liberi di questo pianeta, un posto meraviglioso in cui la gente tende a rispettarsi e vive la piena consapevolezza di un umanesimo moderno e a portata di mano.

Vauban non è altro che un concentrato di queste virtù. Non un paradiso: è un posto umanissimo e possibile. Quaranta ettari, poco meno di 6 mila residenti che vivono in case private o, più spesso, cooperative sociali e complessi residenziali sociali. Ogni appartamento rispetta lo standard di basso consumo energetico previsto per gli edifici di Friburgo, pari a 65 kWh/mq (una casa europea media sta sui 150-200 kWh/mq). I tetti sembrano un’unica distesa di fotovoltaico, le case producono energia in eccesso e l’unica tipologia energetica di provenienza esterna viene da sistemi di riscaldamento di quartiere alimentati a cippato (scaglie di legno).

L’elenco dei progetti sociali è infinito: orti sui tetti, in mezzo ai pannelli; digestori anaerobici per i rifiuti organici; depositi comuni di cibo; spazi per la risoluzione dei conflitti; parchi continui tra una casa e l’altra, che in realtà sono veri pezzi di bosco. Le auto sono scoraggiate in ogni modo. Quest’anno il costo annuale di un parcheggio è passato da 36 a 360 euro, dieci volte di più. Le vie interne sono vicoli ciechi destinati solo ai giochi dei bambini. Beh sì, lo stigma sociale per i possessori di automobile un po’ c’è, ma giusto sotto forma di proteste civili. I possessori sono davvero pochi: 172 auto ogni mille abitanti, contro le 393 del resto di Friburgo e le 531 di Stoccarda. Semplicemente, vivere senza macchina si può.

Naturalmente a Friburgo ci sono almeno 10 cose da vedere in due giorni — la cattedrale, risparmiata dai bombardamenti, su tutte, e poi il mercato di Munsterplatz, le torri (Schwabentor e Martinstor), il giardino botanico, le viuzze del centro, i canali —: trovate tutto qui. Anche lo stadio Europa-Park — 34.700 spettatori, costruito in pochi mesi nel 2021 — è splendido e avveniristico, pannelli solari sul tetto anche lì, impianto oltre l’autosufficienza energetica eccetera.

Viene da pensare a come questa gente usi il sole: rispetto al resto della Germania ne ha di più, rispetto a noi pochissimo. Ma dal sole sa spremere buon senso, vitalità. E una certa idea di felicità, quella che può esserci, intermittente come un raggio e da acchiappare al volo.
Gianluca Marcuri