L'ACQUA BENE PREZIOSISSIMO, di Luca Angelini

L’acqua è un po’ come la salute: ci accorgiamo del valore che ha soltanto quando viene a mancare. Tipo adesso, con laghi e fiumi, nel Nord Italia, secchi che manco ad agosto. E con la tentazione di non chiamare più «bel tempo» l’annuncio di cieli sereni nelle previsioni meteo. Donato Berardi, su lavoce.info, lancia la sua provocazione: «Se vogliamo bene all’acqua, la prima cosa è regolamentarne l’uso e darle un prezzo».

Qualche titolo per farlo, Berardi ce l’ha: si occupa da anni di regolamentazione dei servizi pubblici — idrici inclusi — in REF Ricerche dirige il Laboratorio sui servizi pubblici locali ed è responsabile degli studi su prezzi e tariffe. Si obietterà che, già adesso, un prezzo l’acqua ce l’ha. E ci manca soltanto che aumenti pure quello, dopo i rincari di luce e gas. Obiezione comprensibile, ma non del tutto fondata.

Berardi ricorda, infatti, alcune scomode verità. Come questa: «Investiamo nel servizio idrico delle città metà di quanto investono gli altri Paesi europei e consumiamo il doppio, con tariffe che sono la metà di quelle di Parigi e un terzo di quelle di Berlino». Se il prezzo dell’acqua è troppo al di sotto del suo valore, i soldi per investire nelle reti idriche non ci sono. Gli esempi che lo dimostrano non mancano, e Berardi ne fa un paio: «L’Eipli, il soggetto pubblico deputato alla gestione delle dighe e delle infrastrutture di approvvigionamento nel distretto dell’Appennino meridionale, è in liquidazione da più di dieci anni. Di conseguenza, non solo non si investe, ma nemmeno vengono eseguite le manutenzioni: negli invasi si può oggi trattenere il 30 per cento di acqua in meno rispetto alla reale capienza, e quest’acqua preziosa, che non viene trattenuta, deve essere lasciata defluire per incuria e trascuratezza. Un vero e proprio assurdo. Anche la società pubblica pensata per gestire le infrastrutture del Mezzogiorno, prevista dalla legge di bilancio 2018, e che avrebbe dovuto coinvolgere il ministero dell’Economia e le regioni, non è mai decollata. E i termini per la sua costituzione sono stati di recente prorogati a fine 2023».

Il dato di partenza da non perdere mai di vista è che il settore agricolo è da sempre il primo consumatore di acqua del nostro paese con oltre il 50 per cento dei prelievi, mentre l’industria incide per un altro 10-15 per cento sul fabbisogno idrico nazionale. L’acqua dolce per uso potabile rappresenta meno del 20 per cento dei prelievi di acqua.

Se questo è il quadro, quali dovrebbero essere gli interventi per un nuovo, e sempre più urgente, alla luce dei cambiamenti climatici in atto, «governo dell’acqua»? Berardi li aveva indicati già circa un anno fa, in un altro intervento su lavoce.info, e oggi li sintetizza così: «Salvaguardare le fonti idriche. Realizzare tanti e diffusi piccoli invasi per agricoltura e accumuli di acque piovane a servizio delle abitazioni. Rendere obbligatorio il riutilizzo delle acque grigie nelle nuove abitazioni. Prevedere desalinizzatori mobili per sopperire alle punte di domanda nelle località turistiche. Realizzare bacini di raccolta dell’acqua piovana tramite soluzioni basate sulla natura. Rendere obbligatorio il riuso dell’acqua depurata e affinata in agricoltura».

Perché non lo si è ancora fatto? In gran parte perché l’acqua è lasciata in balia della «tragedia dei beni comuni»: ciascuno pensa a sfruttarla per il proprio interesse, senza preoccuparsi del danno all’interesse generale che deriverà dal finire per dilapidare una risorsa preziosa per tutti. «Ancora oggi gran parte dell’acqua utilizzata in agricoltura e industria è prelevata dall’ambiente in modo indiscriminato, senza misurazioni e controlli, con pozzi o prelievi spontanei dai fiumi, e a costi comunque irrisori. È chiaro che sino a quando ciò sarà consentito e tollerato ogni iniziativa per disciplinare e regolamentare i prelievi di acqua è destinata a fallire».

Per questo, già l’anno scorso, l’ultimo — e il più difficile — dei cinque punti che Berardi indicava per una nuova strategia sull’acqua era: «Ricordarci che l’acqua dolce è scarsa e preziosa. E dunque, vale per l’agricoltura come per tutti gli altri usi, il suo prezzo deve crescere e allinearsi al suo valore intrinseco e ciascun utilizzo deve pagare il costo marginale che la sua domanda aggiunge al sistema. Il prezzo deve crescere per riflettere soprattutto i costi di ripristino dell’ambiente da cui l’acqua viene prelevata e degli ecosistemi e i mancati usi da cui viene distolta». Per essere ancora più chiaro, aggiungeva: «Affermare che l’acqua deve essere gratis per tutti equivale a dire che può essere usata e sprecata da chiunque e a piacimento».

Non ha cambiato idea. «Non si tratta di privatizzare l’acqua, ma di costruire una strategia e un sistema di regole e prezzi in grado di segnalarne la scarsità, di allocarne il consumo in modo efficiente, di promuovere comportamenti virtuosi, incentivare l’efficienza». La lista delle cose da fare, anche su questo fronte, è nota: «Occorre ripensare la governance regionale degli stoccaggi e delle riserve di acqua in laghi e bacini. Definire gli usi essenziali, integrare i diversi piani di gestione delle risorse, chiedendo a ciascun utilizzatore di fare la propria parte nel risparmio e, soprattutto, di contribuire al ripristino ambientale, per assicurare la rigenerazione della risorsa: con interventi mirati ad aiutare gli ecosistemi a trattenere acqua, tramite la rigenerazione dei fiumi e delle zone umide, agendo contro l’impermeabilizzazione dei suoli e il loro consumo per aiutare le falde a ricaricarsi. Combattere gli sprechi d’acqua e rivedere le concessioni idriche».

L’economia sarà anche una «scienza triste», ma uno dei suoi insegnamenti, a giudizio di Berardi, non andrebbe dimenticato: «I prezzi nella teoria economica servono a guidare i comportamenti di tutti verso il benessere sociale».