Il 2 Novembre a casa mia era preceduto da organizzazione teutonica e cronoprogramma. Mia zia Isabella si occupava dei fiori, acquistandone quintali comprese tante piante fiorite. Mio papà Fortunato si occupava dei lumini, degli orari e dell'automobile che tirava fuori dal garage pronta per essere caricata degli ornamenti previsti, Fiat 124 giallino chiaro.
"Isabe', ma quanti ne hai comprati?! Esagerata!" era il buongiorno rituale di papà a sua sorella. La destinazione era il cimitero di Soveria Simeri dove sono sepolti i nostri cari.
Tutti gli anni, ogni anno, papà rimproverava zia Isabella di usare troppo profumo che a suo parere saturava l'abitacolo dell'auto e lo "istupidiva", tutti gli anni, ogni anno, lei rispondeva piccata che allora cosa avrebbe dovuto dire lei dal momento che lui la "affumicava" con le sigarette!
Siparietti esilaranti, ogni volta con la medesima verve e freschezza. Io mi accomodavo sul sedile posteriore pronta a godermi quel cabaret a metà tra l'affettuoso e la celia, tra la baruffa scherzosa e la piccola gara di affermazione del sé.
Nel viaggio, che al tempo durava un'oretta, sciorinavano i ricordi dei nostri defunti: il nonno Vincenzo, la nonna Lucia, lo zio Salvatore, "lo zio prete", che era colui che li aveva ospitati presso di sé a Catanzaro per farli studiare. Era il parroco della parrocchia di Montecorvino, là trasferitosi dalla natia Soveria, severo, autoritario, autorevolissimo... ancora ne parlavano con reverenza e rispetto. Mia mamma, anche lei della partita, aggiungeva il suo: lo ricordava per le vie di Catanzaro (lei è "cittadina"), avvolto in un grande mantello nero sulla tonaca, e deliziata precisava che tutti all'apparire del suddetto, cedevano il passo. Non mancavano particolari nuovi e nostalgie, a suggello di quel pellegrinaggio affettuoso e dovuto.
Al cimitero si disponevano i fiori secondo un ordine rigoroso, si accendevano i grandi lumini nella carta rossa e si sistemavano le piante fiorite, sperando che il tempo clemente le facesse durare a lungo.
Di ritorno dal cimitero, obbligo era la visita ai parenti, che ci aspettavano come da tradizione. E allora Carolina aveva preparato le noci, zia Peppina il pane, Totò la sopressata, e tutti i doni protocollari che sancivano il giorno dei Defunti, miele, vino cotto, dolcetti con i bottoncini di zucchero.
Io, bambina, spalancavo gli occhi alla vista delle noci enormi "del nostro albero, eh!" e di pani giganteschi avvolti in candidi teli di lino: "Li ho fatti ieri, così ve li portate belli fragranti!", e quel profumo di grano avrebbe avuto la meglio anche sul profumo di zia Isabella!
Tornati a Soverato si accompagnava zia e si dividevano le leccornie, papà l'aiutava a portarle in casa borbottando: "Isabe', però il prossimo anno non comprare tutti quei fiori, è un'esagerazione!", e lei: "Fortuna', ogni anno mi dici le stesse cose!", poi leggera cambiava argomento: "Venite nel pomeriggio per le caldarroste, verso lei sei comincio ad arrostirle e ho preso anche le ricottine per Isotta e Fausto. A te preparo lo stocco con le patate, quello che ti piace tanto.".
E il profumo delle caldarroste nella grande cucina di zia Isabella chiudeva la giornata dedicata ai nostri Defunti: ricordi, preghiere, nostalgie, parenti, siparietti, tutto mescolato in quel luccicante e caldo paiolo di nome Famiglia che oggi ricordo qui in memoria e grandissimo affetto.