Ma perché sei così legato al liceo classico, al ricordo delle materie che ti hanno formato, perché ne parli così spesso e con entusiasmo? La domanda mi ha inseguito da sempre, in pratica da subito dopo la Maturità (ormai perduta nelle nebbie del tempo, parliamo del 1973). Sono stati in tanti a chiedermelo. Ed è per questo, credo, che ogni anno, in occasione della notte nazionale del liceo classico , vengo sollecitato a scrivere un mio piccolo contributo personale a favore di questa bella iniziativa (quest’anno l’appuntamento è il 6 maggio dalle 18 alle 24). Nelle discussioni private ma anche in quelle pubbliche, dedicate al lavoro, ho sempre rivendicato la mia identità di ex studente del liceo classico: e certamente non uso come arma quella più scontata (grazie al liceo classico sappiamo interpretare l’etimologia nascosta nelle parole di uso corrente) perché è troppo evidente nella sua ovvietà. Sia chiaro: non ero assolutamente tra i primi della classe, non ho mai tradotto all’istante greco o latino, ho sempre faticato duramente sui libri e sui vocabolari. Ma la ragione per la quale mi sento ancora, a due passi dai settant’anni, un ex liceale classico è per un indelebile debito che sento verso quella formazione.
La questione è notissima. Tutti i detrattori del liceo classico puntano su un tema di fondo: si impiegano cinque anni per apprendere lingue morte, inutilizzabili nella pratica quotidiana di qualsiasi lavoro, destinate a restare nel proprio archivio mnemonico (a meno che non si prosegua per carriere accademiche). Contestazione puntualissima: nessuno, meno che mai chi scrive, usa Catullo o Omero nel proprio quotidiano. Ma Catullo e Omero restano utilissimi per lo scopo che si prefigge, senza dichiararlo, il liceo classico: l’allenamento mentale alla complessità di un testo (espressione di una intera cultura) . Ovvero la ginnastica ideale per affrontare la difficoltà del mondo contemporaneo. Chi esce dal liceo classico sa pensare senza fermarsi ai dogmi e alle certezze, sa adattarsi mentalmente (e quindi organizzativamente) ai contesti più diversi, sa mettersi di fronte alla complessità di un fenomeno senza timore di soccombere ma mettendo insieme i pezzi di un problema esattamente come si fa con una versione-rompicapo.
Antonio Gramsci (nulla di ideologico nella scelta di questa citazione) scrisse che greco e latino non sono materie scolastiche in sé, ma metodi di formazione in anni cruciali che insegnano a pensare. Nel dettaglio: «Non si impara il latino e il greco per parlare queste lingue, per fare i camerieri o gli interpreti o che so io. Si imparano per conoscere la civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale». Difficile spiegare meglio il senso di un retaggio che non ti abbandona mai e ti sorregge nei momenti difficili della vita. Perché il liceo classico ti ancora alle radici più profonde di ciò che sei, cioè un essere umano unico, libero e pensante.
Paolo Conti, Corriere della Sera - 5 maggio 2022