"SIAMO TUTTI FAMIGLIA"! RENATINO E MOHAMED, GLI SPOT BOOMERANG CHE FANNO DISCUTERE, di Alessandro Trocino
C’è «Renatino» che lavora 365 giorni all’anno il Parmigiano Reggiano, in barba allo Statuto dei lavoratori e al buon senso. C’è Gianluca che ha deciso con rammarico di sospendere gli studi ma ora trasporta cartoni Amazon con felicità. E c’è Mohamed, che ha una sorella nata con disabilità e meno male che c’è il grande hub della logistica che gli dà uno stipendio. Vengono chiamati tutti rigorosamente per nome, perché l’obiettivo è umanizzare i dipendenti, dopo che la stampa, in combutta con le associazioni e i sindacati, ha spesso denunciato le condizioni di lavoro dure alle quali deve sottostare chi lavora nella new, ma anche nella old, economy.
L’ultimo spot che ha provocato scompiglio è quello della nota azienda di formaggi dell’Emilia-Romagna. Si vede una sorta di guida, l’attore Stefano Fresi, che spiega a dei ragazzi in visita che il Parmigiano è «solo latte, sale e caglio e nient’altro». Poi aggiunge che «nel siero ci sono i batteri lattici e l’unico additivo è Renatino, che lavora qui da quando aveva 18 anni, tutti i giorni, 365 giorni all’anno». Pausa strategica per far vedere il caglio e poi uno della comitiva prende la parola: «Renatino, posso dirti? Sei un grande». La ragazza, mani sui fianchi in segno di meraviglia e ammirazione, aggiunge: «Ma davvero lavori 365 giorni l’anno?». Renatino annuisce, con tanto di cappellino igienico. Il ragazzo conclude con la domanda delle domande: «E sei felice?». Renatino annuisce ancora, e persino nello spot non sembra particolarmente felice. Conclusione idilliaca con una ragazza che assaggia il formaggio e sente un profumo particolare. Cos’è? «Questo è l’amore che ci mette Renatino».
A sollevare la questione, l’infaticabile polemista Christian Raimo. Che denuncia sui social e ottiene una risposta dell’account Parmigiano Reggiano. Dove si spiega che lo spot è tratto da un mediometraggio di Paolo Genovese e che «quindi ha un linguaggio che ammette licenze cinematografiche». Loro, spiegano, volevano solo sottolineare che il Parmigiano si fa 365 giorni all’anno, ma rassicurano: i diritti dei lavoratori sono «assolutamente garantiti, senza alcuna eccezione». E di questo non dubitiamo affatto. Poi aggiungono: «La volontà di sottolineare la passione dei nostri casari è stata letta con un messaggio differente».
Per l’azienda, dunque, si tratterebbe di una licenza «poetica» (anche se trattasi di spot, non di film), di una simpatica iperbole, un paradosso, una guasconata di Renatino-Genovese per impressionare i ragazzotti ingenui. Replica non proprio convincente. Se non altro perché, guardando per intero il mediometraggio pubblicitario, alla quarta puntata si vede la sequenza intera con Renatino che si racconta. E perfino il gruppetto di appassionati è incredulo e chiede: «Ma davvero lavori 365 giorni all’anno? Cioè, tu non hai mai visto il mare? Parigi? Sciare? Neanche? E sei felice?». Renatino annuisce.
Stefano Fresi, l’attore-guida, ha replicato alle polemiche: «È solo finzione, è un messaggio pubblicitario, non ne fate una lotta di classe, di politica, una battaglia di lavoro, di diritto dei lavoratori. Non è un documentario». Basta così? Non a Nicola Fratoianni, naturalmente, di Sinistra italiana: «Fuori dagli spot patinati i tanti Renatino d’Italia direbbero che sono stressati, che stanno invecchiando nelle aziende senza manco godersi gli affetti. Che hanno messo al mondo i figli per farseli crescere dai nonni. Che così non è vita e che spesso non hanno nemmeno soldi a sufficienza per togliersi qualche sfizio». Diciamo che è improbabile, e un po’ assurdo, che una pubblicità racconti la vita vera di un operaio. Non è il compito del marketing. Ma è anche vero che suona stridente il messaggio dello spot, che sembra inneggiare a una vita totalmente dedicata al lavoro, un abbruttimento quasi grottesco.
Messaggio apparentemente diverso da quello di Amazon, che deve difendersi dalle molte inchieste che contestano le condizioni di lavoro. E quindi, nei suoi spot, si lancia in un tentativo di umanizzare i dipendenti, con risultati non migliori dei precedenti. In uno spot del 2020, c’è «Gianluca», che ha smesso di studiare ma è «felice di essere arrivato qui, perché vuol dire imparare cose nuove in tutt’altro modo», e lo dice mentre trasporta cartoni da un tavolo a un altro. Poi conclude: «Siamo fatti per fare grandi cose, l’importante è crederci». Lo spot più recente, sempre di Amazon, mette insieme l’integrazione e la disabilità. C’è «Mohamed», con «fratino» arancione e mascherina: «La mia frase preferita è continuare a lottare». Segue foto di lui che dà un pugno di cioccolatini a una bambina e ancora la voce: «Mia sorella è nata con disabilità, i miei genitori sono molto contenti perché riesco ad aiutarli economicamente». Siamo dalle parti del fantozziano «come è buono lei». Conclusione di Mohamed, che parla male italiano ma va bene così, sembra più vero: «La mia squadra mettono qualche canzone, mi fa sentire qualche balletto. Siamo tutti famiglia».
Alessandro Trocino