ELEZIONI REGIONALI CALABRIA. SEGGI IN FAMIGLIA E VENDETTE NELLA PARTITA DELLA CALABRIA, di Gian Antonio Stella

«E tu Catanzaro, alla vigilia d’una nuova tornata elettorale svegliati! Scegli per tua guida politica solo chi si mostra disinteressato, disposto a mettere al servizio di tutti serietà, preparazione professionale, dedizione e generosità...». «E vavatinni!», avranno pensato chissà quanti mafiosi, corrotti e politici amorali: «E vattene!» Finalmente, dal loro infame punto di vista, Vincenzo Bertolone, vescovo di Catanzaro, presidente della Conferenza episcopale calabrese, postulatore della beatificazione del giudice Rosario Livatino, se ne andava via. Dando le dimissioni proprio alla vigilia delle Regionali. Perché sì, lui sferzava Catanzaro perché era la sua sede, ma si rivolgeva al capoluogo politico della Calabria e a tutti i calabresi. Soprattutto ricordando il monito di papa Francesco sulla politica che «è un veicolo fondamentale per costruire la cittadinanza e le opere dell’uomo, ma quando, da coloro che la esercitano, non è vissuta come servizio alla collettività umana, può diventare strumento di oppressione, di emarginazione e persino di distruzione».

«Basta commissari!»
Uffa, questa ossessione della mafia! Ottantasette volte in sessanta pagine ci sono quella parola e le sue declinazioni, nelle «Linee guida» per le Diocesi calabresi di dieci giorni fa: 87 volte. Eppure, per quanto i contendenti alla conquista della Cittadella Regionale di Catanzaro (160 milioni di costi contro i 35 previsti, 13 piani, 65mila metri quadri, manco un ripostiglio per gli archivi) siano impegnati a promettere mille progetti e start-up e iperconnettività digitali e risanamenti della sanità («basta commissari!») e rattoppi alle condotte che sprecano la metà dell’acqua e treni che dopo un quarto di secolo potrebbero davvero caricare i container al porto di Gioia Tauro, anche le polemiche più accese ruotano sempre intorno a quel tema. Ai silenzi, alle connivenze, alle clientele, alle ambiguità, alle parentele che hanno a che fare con gli innominabili. I quali, e si è visto, hanno in pugno le vere leve del comando al punto che quando lo stesso Gino Strada, malato ed esausto, accettò l’appello a correre al capezzale della sanità calabrese, capì subito che forse non era più facile che a Kabul...

Partita già decisa
La partita, sulla carta, pare già decisa. Legge regionale alla mano, chi ha un voto in più vince. Senza ballottaggio. E senza ballottaggio l’unico che corre con uno schieramento intero alle spalle, cioè il capogruppo azzurro alla Camera Roberto Occhiuto, che ha dietro Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, non dovrebbe avere problemi. Il fronte avversario, che già era spaccato due anni fa tra il Pd da una parte e il M5S dall’altra (più un candidato civico), è spaccato in tre pezzi. Contro il candidato ufficiale del Pd e del M5S, la scienziata Amalia Bruni, scelta dopo un infinito tormentone, sono in partita infatti il sindaco uscente di Napoli Luigi de Magistris (che in Calabria aveva già lavorato come pm sollevando il vespaio dell’inchiesta «Why not» che coinvolgeva tra gli altri due governatori di anni e giunte diversi, Agazio Loiero e Giuseppe Chiaravalloti, poi assolti) ma anche il penultimo presidente di sinistra, Mario Oliverio. Il quale, dopo quarant’anni di potere (quattro volte deputato a Roma, sindaco di San Giovanni in Fiore, presidente provinciale e poi regionale) era stato scaricato da Zingaretti perché coinvolto in una inchiesta di Nicola Gratteri per corruzione e ridotto (da governatore!) all’obbligo di dimora nel suo paese sulla Sila. Un’accusa poi evaporata senza che il magistrato dell’accusa facesse manco ricorso contro l’assoluzione. Risultato: rinfacciando al partito di non averlo difeso, si è ricandidato pure lui. Obiettivo: fare perdere la coalizione Pd-M5S. E se di conseguenza vincerà la destra? Amen.

Litigi su tutto
Dove possano andare tutti e tre, stando ai sondaggi, non si sa. Ma non perdono occasione, come i polli di Renzo, per litigare su tutto. E mettere in secondo piano la sfida teoricamente più importante e cioè al candidato della coalizione destrorsa, come dicevamo Roberto Occhiuto, che in caso di elezione darebbe in un certo senso il cambio al fratello Mario costretto dopo dieci anni a lasciar la poltrona di sindaco di Cosenza e noto soprattutto per l’idea, laudata di qua e ridicolizzata di là, di scavare alla ricerca del tesoro di Alarico che fece sì strage degli antenati «cosentini» ma farebbe furori (dice lui) come promotore turistico. E «Giacomino» Mancini, l’erede del celebre nonno? Dopo varie giravolte, perse le tracce. In compenso, nell’infornata di nipoti, cognati, cugini anche chiacchierati riecco la potentissima famiglia Gentile. Il primo (quasi matematico) sarà Andrea Gentile figlio di Tonino, la seconda Katya, figlia di Pino, a suo tempo vice dell’Occhiuto sindaco («uomo di panem et circenses, feste, luminarie e inaugurazioni funamboliche») e sua nemica giurata. E vabbé, un seggio aiuta a dimenticare...

Giostra di assessori
Di esser destinati a perdere, però, la scienziata «giallorossa» e «‘o sindaco» partenopeo non vogliono proprio sentir parlare. Soprattutto de Magistris: «Nonostante i sondaggi contrari, ho stravinto entrambe le elezioni a Napoli, ha spiegato a Antonio Ricchio, «ma ciò di cui vado orgoglioso è che dopo aver ereditato una città agli ultimi posti in tutte le classifiche, la lascio collocata ai vertici dell’attenzione nazionale e internazionale. I calabresi possono fidarsi di me, ho governato a Napoli contro il “sistema”». Nonostante la giostra di 35 assessori? Fatto è che invocando un cambiamento han deciso di appoggiarlo vari intellettuali calabresi, da Vito Teti a Domenico Cersosimo, non altri che l’hanno visto all’opera a Napoli, come Mirella Barracco della Fondazione Napoli Novantanove e lo storico Paolo Macry: «Sembra quasi che i miei amici non conoscano il radicale fallimento delle sue giunte, il degrado della vivibilità cittadina, il crollo della politica finanziaria, la cronica tendenza ad evadere dai problemi concreti chiamando a raccolta istanze populiste prive di qualsivoglia competenza»...

Lo scivolone sulla ‘ndrangheta
Competenza che, invece, rivendica d’avere la scienziata Amalia Bruni: «Ho avuto in carico diecimila pazienti, che significa diecimila famiglie, posso prendere in carico 1,9 milioni di calabresi che hanno diritto ad una vita dignitosa. Per tutta la vita ho guidato team di clinici e ricercatori, posso farlo anche con una squadra di politici. Del resto, la storia del nostro centro lo dimostra, io sono quella delle mission impossible», ha detto a Repubblica. Auguri. Certo è che uno scivolone l’ha fatto subito: «La ‘ndrangheta è questione di cui si devono occupare i tribunali». Non l’avesse mai detto: «Questa frase io l’ho sentita sin da quando portavo i pantaloncini corti», è saltato su Enzo Ciconte autore di vari libri sul tema, «l’ho sentita in Calabria, nella mia terra, e l’ho sentita ripetere nelle regioni del nord. Non è così. Quella contro le mafie è una guerra culturale, sociale, politica. E va combattuta tutti i giorni».

Gian Antonio Stella, Corriere della Sera, 25 Settembre 2021