L'orrore - Saman Abbas, un agnellino condotto al macello.
Come poter vivere in un mondo che permette ciò?
Come attendere alle proprie attività quotidiane, ai propri doveri, alla cura della famiglia, al ruolo che ci è assegnato per diventare un po' migliori?
Come poter pensare "alle vacanze", a mangiare, a dormire, e a tutto quello che è vita, se accadono tali abomini vicinissimo a noi?
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L’inchiesta
Saman Abbas, le ultime notizie sulla scomparsa.
Lo zio in chat: «un lavoro fatto bene». La madre: è l’unica «soluzione»
Con queste parole terrificanti l’uomo definisce il delitto con alcuni conoscenti. Il retroscena: poco prima di morire la giovane sentì la madre parlare di quello che sarebbe accaduto poco dopo. L’ultimo messaggio audio al fidanzato - di Alessandro Fulloni, inviato a Novellara
L’uccisione di Saman? «Un lavoro fatto bene». Così, con queste parole terrificanti, lo zio definisce quel che è accaduto alla ragazza sparita nel nulla a Novellara. L’uomo, Danish Hasnain, 33 anni, è quello che — secondo la Procura — avrebbe materialmente ucciso la giovane. Consegnata a lui, in quella maledetta notte tra il 30 aprile e il 1° maggio, dai genitori: Shabbar, 46 anni, e Nazia Shaheen, 47. Il ruolo di quest’ultima nel delitto — secondo la Gazzetta di Reggio che nell’edizione odierna riporta le indiscrezioni giudiziarie — diventa ancora più sconvolgente. Saman, sempre quella notte, poco prima di essere mandata a morire ed essere sotterrata in campagna, la sente parlare con qualcuno della sua morte.
Il racconto del fidanzato
É la stessa giovane a scandirlo in un messaggio vocale al suo fidanzato (che lo poi lo racconterà agli investigatori). La ragazza la sente dire che quella sarebbe l’unica «soluzione» per punirla, dato che vuole opporsi al matrimonio combinato in Pakistan e vivere liberamente, all’occidentale. Ma stavano davvero parlando di lei? «È quello che la 18enne ha pensato» scrive la Gazzetta. Tanto che Saman lo chiede subito dopo a Nazia. La quale ovviamente nega: giustifica quelle parole come riferite a una vicenda accaduta tempo prima in patria. Ma Saman non ci crede. Con il fidanzato qualche istante più tardi si sfoga così: «L’ho sentito con le mie orecchie, ti giuro che stavano parlando di me...».
«Se non mi senti chiama le forze dell’ordine»
Che Saman temesse per la propria vita è una certezza. Il suo fidanzato lo ha ripetuto più volte ai carabinieri. Lei gli aveva addirittura detto questo: «Se non mi faccio sentire per più di 48 ore avverti le forze dell’ordine...».
Il ruolo dello zio
In questo scenario allucinante emerge la determinazione criminale dello zio Danish, uomo dalla personalità così ingombrante da riuscire a imporsi sulle scelte dei genitori. Ricordiamolo: è a lui che Shabbar e Nazia affidano la ragazza, accompagnandola per un centinaio di di metri (ma senza sapere di essere ripresi dalle telecamere di sorveglianza) lungo un viottolo sterrato che va verso le serre dell’azienda agricola per la quale lavora da anni l’intero clan Abbas. Le immagini mostrano Shabbar che a un certo momento si ferma, armeggiando apparentemente con il telefonino. Nazia, chissà con quale stato d’animo dentro, accompagna la figlia verso la morte per qualche metro ancora. Poi il nulla. Salvo vedere dieci minuti dopo il padre ricomparire: esce di casa, ripercorre la stradina e torna indietro con lo zainetto che Saman aveva sulle spalle poco prima. Nei giorni successivi, uno dopo l’altro, tutti gli Abbas spariscono.
Controllati alla frontiera
Le indagini virano verso la pista dell’omicidio quando in provincia di Imperia viene fermato, il 9 maggio (data alla quale nessuno della famiglia era ancora ricercato per omicidio), il fratello sedicenne di Saman. Che racconta subito per sommi capi quello che sarebbe successo. Aggiungendo di «temere» lo zio. Che tra l’altro lo ha trascinato con sé nella fuga assieme ai cugini, il 28enne Ikram Ijaz (fermato poi a Nimes mentre cercava di raggiungere la Spagna) e e Nomanulhaq Nomanulhaq, 33. La Gazzetta di Reggio scrive che sarebbero stati controllati tutti alla frontiera tra Italia e Francia. Più in dettaglio, al Corriere della Sera risulta che quel 9 maggio zio e nipote vengono fermati a Imperia, entrambi sono privi di documenti. Il fratello di Saman è trattenuto in una casa famiglia e Hasnain viene invitato per il giorno successivo a regolarizzare la sua posizione in Questura. Questo però non avviene: l’uomo si dilegua, ma a quel punto gli investigatori, informati della presenza del minore, vanno a prendere il ragazzo e lo accompagnano in una struttura protetta in Emilia. E appunto: l’indagine per omicidio decolla in questo momento.
L’ultima lite con i genitori
Ma torniamo alle ore in cui Saman viene uccisa. L’insieme delle testimonianze rese dal fratello, l’ascolto degli audio scambianti con il fidanzato (usando di nascosto il cellulare della madre) e la visione dei filmati consente di ricostruire — come ha fatto la Gazzetta di Reggio — quegli istanti drammatici quasi fossimo in presa diretta. La sera del 30 aprile la ragazza litiga di nuovo con i genitori. Il motivo lo abbiamo detto: è una donna libera, consapevole delle sue libertà. Il suo nickname su Instagram ci dice tante cose, nette e commoventi: «Italiangirl». La consapevolezza di quel che è, e dei suoi sogni, stride pesantemente con quelle due settimane da incubo in cui — dopo che l’11 aprile è tornata dal centro protetto sperando in una riconciliazione in famiglia — è vissuta praticamente da reclusa. Dunque (forse pure dopo aver udito le sconvolgenti parole della madre) decide di scappare, con tanto di zaino. Ma viene ripresa, forse proprio dallo zio. Il resto sta nelle risultanze giudiziarie raccontate in questi giorni. Appunto: quella camminata verso la morte accompagnata dai genitori (che forse l’hanno rabbonita con una scusa), lo zainetto sulle spalle. E poi solo il buio.
Alessandro Fulloni, Corriere della Sera