OTTO MARZO. LASCIATE PERDERE LE MIMOSE. Contro le donne la più grande violazione di diritti umani, di Filomena Gallo

Ogni qualvolta si presenta la necessità di comporre un governo, un’amministrazione locale oppure un comitato tecnico scientifico o una task force, e in Italia siamo tornati a ritmi da “prima Repubblica” e non solo per colpa della pandemia, si lanciano giustamente appelli affinché si includano presenze e competenze femminili. 

Non perché si vogliano imporre quote “rosa”, ma perché è statisticamente impossibile che in un mondo dove vivono più donne che uomini le posizioni apicali siano ricoperte - e quasi sempre per cooptazione - da rappresentanti di una metà dell’umanità. L’eguaglianza e la non discriminazione sono principi fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione e obblighi internazionali della Repubblica italiana in virtù dell’aver ratificato tutti gli strumenti internazionali dei diritti umani.

Nel 2015 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato l′11 febbraio “giornata mondiale per ottenere un pieno ed equo accesso e partecipazione alla scienza per donne, ragazze e bambine” per contribuire all’uguaglianza ed emancipazione femminile. Con pochissime eccezioni, tutti nel nord-Europa, la non inclusione delle donne è probabilmente un problema globale di portata pari al riscaldamento climatico - e alcuni studi ritengono che le due questioni siano anche correlate.

Secondo l’Istat in Italia una ragazza su quattro con meno di 30 anni non studia e non lavora. La situazione varia a seconda delle zone: il 16% delle ragazze meridionali non finisce la scuola, contro il 10% del nord e l’8% di chi vive nelle regioni del centro. La metà delle donne con due o più figli fra i 25 e i 64 anni non lavora. Fra le coppie giovani con figli solo nel 28% dei casi entrambi lavorano a tempo pieno. Una donna su 10 con almeno un figlio non ha mai lavorato per dedicarsi completamente alla cura dei figli - la media in Europa è del 3,7%. Tornando al sud questa “scelta” è stata fatta da una donna su cinque con almeno un figlio per “prendersene cura”.

Se questi sono i dati di uno Stato fondatore dell’Unione europea e che quest’anno preside il G20 ci possiamo immaginare quale possa essere la situazione nei paesi in via di sviluppo e in particolare quale sia il coinvolgimento femminile in materie scientifiche.

Anche se negli ultimi anni, spesso su stimolo internazionale e comunque sempre grazie a donne che si sono interamente dedicate a questa impresa, molte sono state le iniziative per ispirare e coinvolgere donne, ragazze e bambine nella scienza - un ambito di studio da sempre appannaggio degli uomini. Eppure in molti paesi, spesso con giustificazioni che scomodano tradizioni e religioni, tanto le prime quanto le seconde continuano a essere escluse dalla piena partecipazione a percorsi educativi scientifici. In tutto il mondo meno del 30% di chi fa ricerca è donna.

Secondo le Nazioni unite, l’iscrizione delle studentesse è particolarmente bassa in corsi di studio che prevedono tecnologie per l’informazione e la comunicazione TIC (3%), scienze naturali, matematica e statistica (5%) e in ingegneria, per non parlare di produzione e costruzione (8%). Secondo l’UNESCO solo il 30% circa delle studentesse nell’istruzione superiore seleziona campi legati a scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (STEM). 

I pregiudizi di vecchia data e gli stereotipi di genere allontanano le ragazze e le donne dai campi legati alla scienza. Uno studio Gender Bias Without Borders del Geena Davis Institute di qualche anno fa mostrava che dei personaggi sullo schermo con un lavoro STEM, solo il 12% erano donne. E in un mondo che vive perennemente incollato davanti a schermi piccoli e grandi un’immagine vale più di mille statistiche.

La mancanza di donne in campi scientifici si porta dietro anche altri tipi di pregiudizi, i famosi bias, per cui spesso sviluppi e applicazioni dell’intelligenza artificiale sono disegnati da uomini per uomini o, forse ancora peggio, medicine dedicate esclusivamente a donne non sono testate su donne perché “troppo costose” da coinvolgere nelle sperimentazioni cliniche perché instabili dal punto di vista ormonale. 

La discriminazione contro le donne è la più massiccia e sistematica violazione dei diritti umani che l’umanità abbia mai visto. Per sradicarla occorre agire a più livelli e ovunque nel mondo, l’educazione è sicuramente un ambito in cui investire - anche perché le studentesse hanno statisticamente un rendimento più alto - e tra le materie da promuovere ci sono quelle che maggiormente guardano al benessere del presente e al mondo che verrà e rientrano nel “diritto alla scienza”.

L’11 febbraio dalle 16 alle 17:30, l’Associazione Luca Coscioni partecipa alle celebrazioni che si tengono in tutto il mondo per promuovere lo studio della scienza tra donne, ragazze e bambine con la presentazione del suo programma ScolarMente coinvolgendo dirigenti, iscritti e simpatizzanti per ricordare, anche sulla base di esperienze personale di scienziate e ricercatrici, quali siano i problemi che restano da risolvere.
Filomena Gallo