INECCEPIBILE RITRATTO DI MATTEO SALVINI, di Gianluca Mercuri

Süddeutsche Zeitung, Stampa

Perché l’euroSalvini sarà pure sconcertante, ma è un bene per tutti
Gianluca Mercuri

«Che svolta sta facendo Matteo Salvini. Da ministro dell'Interno, il leader della Lega ha usato i migranti salvati in mare come ostaggi per ricattare l'Ue, ma ora chiede una politica ragionevole per i rifugiati. L’eterno fustigatore dell’Europa è ora “con mani, piedi, cuore e cervello in Europa”. Questo è sconcertante».
Se questo commento della Süddeutsche Zeitung sulla svolta leghista vi sembra duro, non avete ancora letto niente. L'euroSalvini, scrive Andrea Bachstein, è sì sconcertante, «ma solo a prima vista, perché Salvini è sempre stato un opportunista. Il populista di destra ascoltava quello che diceva la gente e lo ripeteva come se l'avesse inventato lui. Ha spudoratamente gettato a mare i sacri principi della sua Lega. Per esempio quando ha cancellato il “Nord” dal nome del partito, il cui disprezzo razzista per il Sud dell'Italia è una delle sue ragioni d'essere, e ha lusingato gli italiani del Sud. È così che si conquistano i voti. Ora si tratta di soldi e potere».

Il tono di invettiva si alterna all'analisi più concreta: «Salvini accetta di deludere alcuni dei suoi sostenitori. Ma non può permettersi di rovinare i tanti grandi e piccoli imprenditori del Nord, in attesa disperata degli aiuti europei e consapevoli che Mario Draghi non può essere lasciato fallire».
La conclusione torna sull'accusa di opportunismo: «Salvini sa che paga sedersi al tavolo della Lega quando si tratta di distribuire soldi, preferibilmente da ministro. Quindi è felice di ingoiare il rospo delle condizioni di Draghi. Salvini non cambia le sue convinzioni, non ne ha: cerca sempre il vantaggio».

Ora, che si condivida o meno il senso dell'articolo - e onestamente la storia di Salvini non lo contraddice - quello che conta è che in poche righe il giornale progressista bavarese riassume perfettamente ciò che del capo leghista pensa l’establishment europeo. Di lui, di Salvini, molto più che della Lega, che il senso comune percepisce invece come espressione di un tessuto socio-economico perfettamente ancorato all'Europa, in questo molto simile proprio a quello bavarese. Un'affinità ampia, che parte dal conservatorismo politico e finisce nei fatturati che tengono su fette rilevanti dei Pil nazionali. Non a caso il più europeista dei leghisti, Giancarlo Giorgetti, proprio con la Cdu bavarese dialoga per un futuro approdo nel Partito popolare. E proprio Giorgetti è riuscito a convincere finalmente Salvini che può vincere tutte le elezioni che vuole, ma non potrà mai governare stabilmente finché Bruxelles non si fiderà di lui.

La questione della sincerità di Salvini, del suo cinismo, del suo opportunismo, da questo punto di vista è dunque secondaria. Inutile aspettarsi da lui un afflato shakespeariano da Enrico V prima della battaglia - «Io e la mia coscienza dobbiamo parlarci a quattr’occhi» - perché preferisce declinare istinti e convenienze spicce. Ma certe svolte sono utili anche quando non sono sincere. Il secessionismo della Lega - nato mentre un po' più a Est gli jugoslavi si facevano a pezzi - non è stato uno scherzo ma una pagina infame di storia: averlo archiviato è un bene, e se è stato fatto per convenienza elettorale, pazienza. Non aveva fatto operazioni simili il Partito comunista? Le sue conversioni dall'internazionalismo filosovietico al patriottismo, dalla dittatura del proletariato alla democrazia, non erano forse cariche di ambiguità? Eppure hanno fatto la fortuna di questo Paese.

Quindi se dopo l’anti-italianismo e il nazionalismo Salvini si converte finalmente all’europeismo è un bene. Se non minaccerà più di uscire dall'euro sarà un bene. Se quando vincerà le elezioni sarà percepito dall'Europa come un ex pericolo sarà un bene, per tutti. Magari, frequentando Draghi e parlando di più con i tedeschi, capirà che l'immigrazione può essere affrontata non con un calcolo elettorale, ma con un calcolo economico. Anziché soffiare sugli istinti razzisti, potrebbe capire e spiegare come, governando i flussi, si aiutino la demografia e il mercato del lavoro. Un Salvini al governo che non citofoni più a un presunto spacciatore tunisino minorenne e non dica più che «purtroppo i rom italiani ce li dobbiamo tenere» - due cose di cui dovrà vergognarsi per tutta la vita, e di cui ancora non ha chiesto scusa - sarà un bene per tutto il Paese.

Per questo è deludente che il Pd non abbia capito che un Salvini che «gli dà ragione», come ha detto Zingaretti, sia una svolta da incoraggiare, e non da ostacolare per calcolo, per il timore di non avere più lo spauracchio eurofobo da agitare in campagna elettorale. Così la sinistra dà ragione a Giovanni Orsina - lo storico che capisce meglio di tutti la destra italiana - quando scrive che l'europeismo, diventato il suo unico riferimento ideologico, «ha bisogno di un nemico per poter prendere una forma solida e consistente». Un europeismo e una sinistra non liquidi non hanno paura di allargare la loro tenda al nemico storico, per farne finalmente un avversario fisiologico.

Ultima considerazione: sempre Orsina sottolinea giustamente che, se Giorgetti e Zaia rappresentano l'elettorato leghista più moderno, Salvini raccoglie i consensi dei forgotten italiani, i disperati-esasperati in cerca di capri espiatori (Europa e immigrazione in questi anni sono stati quelli perfetti). Solo un Salvini riconvertito al fair play politico, un Salvini detrumpizzato e georgettizzato, può convincere questi settori a restare nel campo democratico. Altrimenti anche per la sinistra sarà sempre difficile governare: chiedere a Joe Biden se non preferirebbe, in questo momento, una tenda comune con la destra ben piantata su Capitol Hill.
Gianluca Mercuri