Toninelli e Lezzi, l’improbabile banda dei telecomandati. «Pronti alle barricate», di Fabrizio Roncone
GLI INQUALIFICABILI (che sono stati pure MINISTRI!)
Toninelli e Lezzi, l’improbabile banda dei telecomandati. «Pronti alle barricate»
Le riunioni nei giornali viaggiano ormai su Teams, WhatsApp, sms, e
tutti stiamo sempre con un occhio alle agenzie e uno ai siti.
Sullo
schermo del pc, ad un certo punto, compare la facciata di San Luigi dei
Francesi con i suoi meravigliosi Caravaggio, il ciclo dedicato a San
Matteo, quella pazzesca lama di luce della Vocazione, e subito — per
ricordarci che siamo terreni, dentro una miserabile crisi politica —
ecco pure il senatore grillino Danilo Toninelli, lo sguardo al solito un po’ fisso.
Ma forse sotto la mascherina sta dicendo qualcosa.
C’è uno di noi che s’incuriosisce.
Mai dare niente per scontato, qui pure le mezze frasi possono darci un po’ di bussola.
Forza, alza un po’.
Toninelli,
in effetti, sta dicendo proprio una frase intera (riferita ad un altro
Matteo): «Renzi, no. Renzi ha dimostrato che non può esserci un uno per
cento di possibilità di essere una persona affidabile». Tradotto in
italiano: non si fida di Renzi.
Lasciate stare quanto sia drammatico
che si esprima così un ex ministro della Repubblica, magari su questo ci
torniamo dopo. Un suo peso politico, la frase ce l’ha. Significa che un
pezzo di M5S è pronto a mettersi di traverso. Insomma se qualcuno
immagina uno schema del tipo: reincarico a Conte, chiarimento con Renzi,
e nuovo esecutivo con la vecchia maggioranza rinforzata da un
pattuglione di «Responsabili», sappia che la banda Di Battista è pronta a
dire no, escluso, non ci stiamo.
L’ideuzza che ronza da tempo nella mente di Alessandro Di Battista detto Dibba è questa: aspettare che si torni a votare e rientrare in Parlamento guidando un gruppo di scissionisti, grillini puri della prima ora (tra l’altro, lui così troverebbe finalmente un lavoro. Ne ha provati parecchi, negli ultimi tempi, s’è dato da fare, ma sempre senza fortuna: il suo reportage per Sky sull’America Centrale è stato giudicato da Aldo Grasso il peggior documentario del 2019; ha provato a fare il falegname, però era troppo faticoso; allora la scorsa estate s’è pure cimentato in un mestiere antico e di grande suggestione, il barman, era lì sulla spiaggia di Ortona e funzionava, i suoi gin tonic erano squisiti, ma era un lavoretto stagionale, non ci campi una moglie e due figli).
Comunque: Dibba pensa —
probabilmente a ragione — che ci sia uno spazio elettorale, una fetta di
elettorato grillino deluso, forse disgustato da certe capriole, certe
scene, con i parlamentari peones aggrappati in queste ore agli scranni
di Palazzo Madama e di Montecitorio e con i loro capi che pensano ad
accroccare un altro governo anche per poi continuare a distribuire
incarichi nelle partecipate, potere su potere, caccia al potere, mentre
Di Maio — nel suo piccolo — fa sapere che non intende schiodare dalla
poltrona di ministro degli Esteri se non per andarsi a sedere su quella
di premier (alla Casa Bianca, del resto, c’è già Biden).
Dibba, in attesa di eventi, fa il duro e i suoi li telecomanda da fuori.
Toninelli. E la Lezzi (più altri che non vale la pena di citare).
La senatrice Barbara Lezzi cammina
muro muro, l’altro giorno le sono andati dietro con i microfoni e lei,
poverina, è inciampata. Un operatore della Rai, come in un western: «Lasciamola sta’. Tanto questa nun parla».
Ma davvero, senatrice, lei non parla?
«Ho scritto su Facebook».
Una cosetta in più?
«Chi sarebbe cosetta? Io?».
Chiedevo: un dettaglio in più?
«Con Renzi, noi non ci stiamo».
E dove andreste?
«In che senso?».
Lezzi, 48 anni, da Lecce, arriva
al Senato due legislature fa e si presenta nell’emiciclo con un
apriscatole. Lo agita minacciosa: «Apriremo il Parlamento come una
scatoletta di tonno! Cambieremo tutte le brutte abitudini!». Poi,
subito, assume la figlia del compagno. Stupore, polemiche, volgarissimo
caso di parentopoli. La ragazza viene licenziata in fretta, mentre lei,
la Lezzi, non molla la scena. All’Aria che Tira,
su La7, chiede che il cittadino «venga informato a 370 gradi». Poco
tempo dopo spiega che «l’aumento del Pil non è merito del governo a
guida Pd, ma del caldo e dell’uso, eccessivo, dei condizionatori».
A Beppe Grillo sembrava un talento assoluto. Grillo la adorava.
Così, quando i vertici del Movimento, nel patto di governo con la Lega, dovettero assegnare il delicatissimo ministero del Mezzogiorno, prima pensarono a Laura Castelli (che però, avendo lavorato in un Caf, preferì continuare a fare il sottosegretario all’Economia, più nelle sue corde) e poi, appunto, a lei, a questo talento della Lezzi (in possesso di un altro solido curriculum: diploma di perito aziendale, impiegata 20 anni in un’azienda che produce materiale per orologiai).
Saggiamente, Dibba capisce che decodificare la Lezzi e Toninelli può essere un filo complicato. Così va da Accordi&Disaccordi su la Nove e dice: «Renzi fuori dal governo».
La storia è questa.
Quando al giornale abbiamo deciso di scriverla, dall’archivio hanno tirato fuori un mucchio di materiale.
Toglie
ancora il fiato la foto di Toninelli — all’epoca ministro delle
Infrastrutture e dei Trasporti — che, ospite di Bruno Vespa, ride
davanti al plastico del Ponte Morandi (appena crollato).
Fabrizio Roncone