Bellanova e Bonetti, le promesse alle ex ministre (sacrificate da Renzi per far cadere Conte), di Fabrizio Roncone
Due donne di Italia viva hanno creduto a una promessa di Matteo Renzi.
Si sono fidate.
È abbastanza nota la velocità — chiamiamola così — con cui Renzi modifica, e talvolta ribalta, il proprio pensiero politico. Quindi avergli detto sì, certo, va bene Matteo, facciamo come dici tu, rende queste due signore assolutamente speciali.
Adesso concentratevi sullo sguardo di Teresa Bellanova (è lei una delle due signore in questione). Ignorate lui, il capo, e Davide Faraone e anche Maria Elena Boschi — sono a Montecitorio, tutti e quattro appena usciti dal colloquio con il presidente della Camera Roberto Fico, a cui il capo dello Stato ha conferito un mandato esplorativo.
Lo sguardo della Bellanova.
All’improvviso — mentre Renzi parla al microfono illustrando i contenuti dell’incontro — sopra la mascherina chirurgica di questa ex bracciante diventata formidabile sindacalista e poi addirittura ministro, si sprigiona un guizzo di inaspettata perplessità (in cui, però, si ha persino l’impressione di scorgere una certa ruvida ironia).
Dove ci starà portando, Matteo?
Cos’ha in mente?
Qual è il suo — vero — piano?
Manterrà la promessa?
Le
grandi strategie politiche, in questo caso, cedono il passo a piccole,
umane, e quindi molto comprensibili apprensioni private: perché
Bellanova ed Elena Bonetti (che è l’altra della coppia) hanno ricevuto
da Renzi la garanzia che, un giorno, e probabilmente molto presto,
sarebbero tornate a Palazzo Chigi.
Però, intanto, dovete dimettervi.
Seguì
una drammatica conferenza stampa in cui Renzi parlò per oltre un’ora,
spiegava le ragioni della clamorosa uscita di Iv dal governo, e poi
s’interrogava e si rispondeva, e solo alla fine si ricordò di avere
accanto anche loro due, Bellanova e Bonetti, in paziente attesa di poter
annunciare che, effettivamente, stavano per rassegnare le rispettive
dimissioni da ministro dell’Agricoltura e da ministro per le Pari
Opportunità e la Famiglia.
All’inizio, Bellanova non voleva saperne di lasciare il suo dicastero. D’istinto, di pancia: quell’ideona di Renzi non la convinceva.
È
una donna di 62 anni che della vita sa tutto, ha visto tutto. Quando ne
aveva 14 usciva all’alba dalla sua casa di Ceglie Messapica e andava a
raccogliere l’uva nelle campagne del brindisino. I caporali che urlano,
le fitte alla schiena, una paga di pochi spiccioli. Le riunioni
sindacali sono il primo rifugio. La sezione del Pci, il luogo dove trova
chi può prendersi cura di lei. L’Unità
è il giornale dove non impara solo a leggere. Va a scuola fino alla
terza media. «Ma non ne sono orgogliosa», dirà una sera a Lilli Gruber,
su La7. A trent’anni diventa dirigente della Cgil. Poi l’arrivo a
Montecitorio: con i Ds, il Pd, finché non segue Renzi nella scissione.
Ancora
si sveglia alle 5.30. Alle 7.30 era già in ufficio, al ministero. Le
piaceva. Pensava di poter fare bene, e del bene (pianse singhiozzando,
in diretta tivù, parlando della regolarizzazione dei migranti). Aveva
persino arricchito il guardaroba: un tailleur color alluminio Domopak,
un abito di seta gialla a pois neri (alcuni leghisti, signorilmente,
iniziarono a urlare nell’emiciclo di Palazzo Madama: «A/pe/ma/ia!»).
Comunque quando Renzi si mette in testa una cosa è dura per tutti. Puoi essere una rocciosa sindacalista. O una sofisticata docente di Analisi Matematica alla Statale di Milano, come Bonetti.
«Guardi,
non faccio fatica ad ammetterlo: in quel ministero della Famiglia ho
lasciato il cuore». Continui. «Le dimissioni non sono certo arrivate a
cuor leggero». Renzi fu inflessibile. «Matteo sa che lì, al ministero,
c’è un lavoro da terminare. Il Family Act, la riforma integrata delle
politiche familiari, è stato approvato in Cdm e ha appena iniziato il
percorso parlamentare».
Un carattere forte dentro un corpo minuto, 46
anni, cattolica. Bonetti uscì dal ministero dicendo: «Sono una
boy-scout. Ho sempre lo zaino pronto». Poi, rivolgendosi al suo staff:
«Speriamo di rivederci presto».
Ecco, appunto.
Fabrizio Roncone