Financial Times
"Tranquilli, il debito lo paghiamo": il Di Maio "statista" (e amicone di Renzi) mira a Palazzo Chigi?
(Gianluca Mercuri)
Ultimamente sentite parlare poco di lui, e questo è già un indizio importante. Di accortezza, di esperienza fatta e spesa bene. Ma Luigi Di Maio è come un sottomarino nascosto, che osserva attentamente e prepara gli obiettivi da centrare. La ricetta che si è dato è semplice: fare tutto il contrario di quello che ha fatto fino a un anno fa. Basta leggere la sua ultima intervista, data non casualmente al Financial Times. Segnatevi quste parole: «C'è stato un gran dibattito sul debito accumulato durante la pandemia. Credo invece che dobbiamo concentrarci su come spendere quei soldi nel modo più produttivo per l'Italia. Dobbiamo far sì che quei debiti possano ripagati e siano usati per investimenti produttivi».
Ultimamente sentite parlare poco di lui, e questo è già un indizio importante. Di accortezza, di esperienza fatta e spesa bene. Ma Luigi Di Maio è come un sottomarino nascosto, che osserva attentamente e prepara gli obiettivi da centrare. La ricetta che si è dato è semplice: fare tutto il contrario di quello che ha fatto fino a un anno fa. Basta leggere la sua ultima intervista, data non casualmente al Financial Times. Segnatevi quste parole: «C'è stato un gran dibattito sul debito accumulato durante la pandemia. Credo invece che dobbiamo concentrarci su come spendere quei soldi nel modo più produttivo per l'Italia. Dobbiamo far sì che quei debiti possano ripagati e siano usati per investimenti produttivi».
Insomma, in un rovesciamento di ruoli che fino a poco tempo fa nessuno avrebbe immaginato, il ministro degli Esteri spegne il fuoco acceso da David Sassoli, che da presidente dell'Europarlamento ed esponente del Pd aveva fino a quel momento credenziali di affidabilità europea nemmeno confrontabili. Sassoli ha suscitato una tempesta aprendo alla possibilità che i debiti contratti durante la pandemia fossero cancellati, una mossa che la maggior parte degli osservatori ha bollato come un autogol politico e un'assurdità tecnica. Ora Di Maio, parlando alla Bibbia della finanza europea, si accredita come debitore responsabile, assicurando che l'Italia non ha la minima intenzione di provare scorciatoie: semmai, una bella revisione definitiva del Patto di stabilità, concordata tra tutti, può essere la via d'uscita, un modo indolore e accettato per dire che qualcosa va cambiato, senza rischiare la blasfemia. A consacrare lo standing da statista, ci pensa lo stesso giornale inglese, definendolo esponente di punta del «non più anti euro» Movimento 5 Stelle: se i grillini non sono più eurofobi, Di Maio è pienamente affidabile.
Che trasformazione, eh? Sono passati solo due anni e mezzo da quando uno sguaiatissimo Di Maio, megafono in mano, urlava in piazza che Mattarella meritava l’impeachment per non aver avallato la scelta del più eurofobo di tutti, Paolo Savona, come ministro dell'Economia del governo gialloverde, con ciò salvando l'Italia. Ancora meno tempo è passato da quando «Gigino» si affacciava al balcone di Palazzo Chigi per annunciare «l'abolizione della povertà» grazie al reddito di cittadinanza.
Con una velocità che impressiona, Di Maio ha capito molte cose. Ha ricucito con il presidente della Repubblica. Ha baciato la pantofola all'altro grande italiano di questi tempi, Mario Draghi. Ha ammesso che nel sussidio tanto voluto dai 5 Stelle molte cose non hanno funzionato. Ed è diventato un politico classico, dai modi felpati e democristiani ma con l'età - 34 anni! - e un credito residuo nel bacino elettorale movimentista che lo rendono comunque diverso. Perfino Renato Brunetta si è congratulato con lui, «uno che impara in fretta, uno statista davvero».
A seconda dei punti di vista, chiamatelo pragmatico, furbastro, intelligente o trasformista e non sbaglierete. Odiava Renzi, stava bene con Salvini, non voleva il Conte bis. Poi nel Conte bis ci ha sguazzato, con avvedutezza. Alla Farnesina, i diplomatici di professione confermano che è sveglio e impara i dossier in fretta. Nel suo partito, si è tirato fuori dal centro della mischia mollando lo scomodo ruolo ufficiale di capo politico, per parare i colpi di un altro avventuriero come Di Battista, che al contrario di lui non si è pacificato, perché al contrario di lui sta fuori dal Palazzo e non vede l'ora di entrarci.
Ora Di Maio lo sentite poco ma dietro le quinte c’è anche lui, soprattutto lui. Ha cambiato Matteo preferito, costruendo un rapporto solido con Renzi. Entrambi sono stufi di Conte, Renzi piccona e Di Maio nasconde i mattoni per usarli lui. Al nostro Labate, Renzi ha raccontato che Conte ha provato a placarlo facendogli balenare un futuro alla guida alla Nato, e che lui, l'ex premier, non c'è cascato. Ma c’è chi dà per certo che invece Renzi lavori per un governo con Di Maio premier e lui alla Difesa, proprio come tirocinio per la Nato.
Che sia vero o no, un simile scenario rende da solo l'idea di come sia cambiata in pochi mesi la politica italiana. Comanda Di Maio, ed è contento che non si noti troppo.
Gianluca Mercuri
Gianluca Mercuri